1982 – La Pace, dono di Dio affidato agli uomini/2


L’informazione

 
6. La pace del mondo dipende, ad un certo livello, da una migliore conoscenza che gli uomini e le società hanno di se stessi. Tale conoscenza è connessa naturalmente con l’informazione e con la sua qualità. Fanno opera di pace coloro che, nel rispetto del prossimo e nella carità, ricercano e proclamano la verità. Fanno opera di pace coloro che si studiano di richiamare l’attenzione intorno ai valori delle diverse culture, alle specifiche caratteristiche delle società, alle ricchezze di ciascun popolo. Fanno opera di pace coloro che, per mezzo dell’informazione, eliminano lo schermo delle distanze, in maniera tale che noi ci sentiamo veramente coinvolti nella sorte di quegli uomini e di quelle donne che, lontani da noi, sono vittime della guerra o delle ingiustizie.
 
Certamente l’accumulo di tali informazioni, soprattutto se esse si riferiscono a catastrofi, per le quali non si può far nulla, potrebbe finire con il rendere indifferente o freddo colui che resta solamente spettatore, senza mai compiere un gesto secondo le sue possibilità; ma, di per sé, il ruolo dei mass-media conserva il suo lato positivo: ormai ognuno di noi è invitato a farsi prossimo di tutti gli uomini, suoi fratelli (cfr. Lc 10,29-37).
 
L’informazione qualificata ha anche un influsso diretto sull’educazione e sulle decisioni politiche. Se si vuole che i giovani siano sensibilizzati al problema della pace e che si preparino a diventare operatori di pace, è indispensabile che i programmi educativi diano uno spazio preferenziale all’informazione circa le situazioni concrete in cui la pace è minacciata, e circa le condizioni che sono necessarie per promuoverla. In effetti, la costruzione della pace non potrebbe risultare dal solo potere dei governanti. Non si può costruire solidamente la pace, se essa non corrisponde all’incrollabile determinazione della buona volontà di tutti. E’ necessario che i governanti siano sostenuti ed illuminati da una opinione pubblica che li incoraggi e, all’occorrenza, esprima loro la sua riprovazione. Di conseguenza, è anche normale che i governanti spieghino all’opinione pubblica tutto ciò che ha attinenza con i problemi della pace.
 
Gli studi che contribuiscono all’edificazione della pace
 
7. L’edificazione della pace dipende parimenti dal progresso delle ricerche che ad essa si riferiscono. Gli studi scientifici dedicati alla guerra, alla sua natura, alle sue cause, ai suoi mezzi, ai suoi scopi, ai suoi interessi sono pieni di insegnamenti in ordine alle condizioni della pace. Per il fatto che mettono in luce i rapporti tra guerra e politica, tali studi dimostrano anche che, per regolare i conflitti, il negoziato ha ben maggiore efficacia che non lo scontro armato.
 
Di qui segue che è destinato ad ampliarsi il ruolo del diritto nel mantenimento della pace. Si sapeva già quanto largamente, in ogni Stato, la promozione della giustizia e il rispetto dei diritti dell’uomo beneficiassero del lavoro dei giuristi. Ma il ruolo di costoro non è minore quando si tratta di ricercare i medesimi obiettivi sul piano internazionale, e di perfezionare, a questo livello, gli strumenti giuridici che costruiscono la pace e la mantengono.
 
Tuttavia, da quando la preoccupazione per la pace si e stampata nell’intimo dell’essere umano, i progressi lungo il sentiero della pace dipendono ugualmente dalle ricerche effettuate dagli psicologi e dai filosofi. E’ vero che la polemologia si è già arricchita degli studi intorno all’aggressività umana, agli impulsi di morte, allo spirito gregario che può improvvisamente ostacolare intere società. Rimane, tuttavia, ancora molto da dire intorno alla paura che l’uomo ha di assumere la propria libertà, alla sua insicurezza di fronte a sé stesso e di fronte agli altri. Una migliore conoscenza degli impulsi di vita, dell’istinto, della simpatia, della disposizione all’amore ed alla condivisione, contribuisce indubbiamente a penetrare meglio nei meccanismi psicologici che favoriscono la pace.
 
Mediante queste ricerche la psicologia è, dunque, chiamata ad illuminare ed a completare la riflessione dei filosofi. In ogni tempo, questi si sono interrogati circa la guerra e circa la pace. La filosofia non si è mai trovata priva di responsabilità in questo campo, e rimane dolorosamente vivo il ricordo di quei celebri filosofi che hanno visto nell’uomo «un lupo per l’uomo», e nella guerra una necessità della storia. E’ anche vero, tuttavia, che molti di essi hanno voluto gettare le fondamenta di una pace duratura, e addirittura perpetua, proponendo, per esempio, solide basi teoriche al diritto internazionale.
 
Tutti questi sforzi meritano di essere ripresi ed intensificati, ed i pensatori che vi si dedicano potranno beneficiare del ricchissimo contributo di una corrente della filosofia contemporanea, la quale dà un rilievo singolare al tema della persona e contribuisce in maniera speciale ad indagare gli argomenti della libertà e della responsabilità. La riflessione intorno ai diritti dell’uomo, alla giustizia ed alla pace ne potrà esser certamente illuminata.
 
L’azione indiretta
 
8. Se la promozione della pace è debitrice, in un certo senso, dell’informazione e della ricerca, essa dipende, soprattutto, dall’azione che gli uomini intraprendono in suo favore. Certe forme di azione, qui intraviste, non hanno con la pace che un rapporto indiretto. Si avrebbe torto, tuttavia, a considerarle come trascurabili e – come accenneremo sommariamente tra poco mediante qualche esempio – quasi tutti i settori dell’attività umana offrono occasioni inattese per promuovere la pace.
 
Tale è il caso degli scambi culturali, nel senso più ampio del termine. Così, tutto ciò che consente agli uomini di conoscersi meglio attraverso l’attività artistica infrange le barriere. Là dove fallisce la parola, e dove la diplomazia, può offrire un aiuto aleatorio, la musica, la pittura, il teatro lo sport possono avvicinare gli uomini. Lo stesso si verifica per la ricerca scientifica: la scienza, come l’arte, del resto, suscita e raccoglie una società universale nella quale si ritrovano, senza divisioni, tutti gli uomini appassionati di verità e di bellezza. La scienza e l’arte anticipano in tal modo, nel loro proprio settore, il formarsi di una società universale pacificata.
 
La vita economica stessa è chiamata a ravvicinare gli uomini, rendendoli ben coscienti della loro interdipendenza e della loro complementarietà. Senza dubbio le relazioni economiche creano spesso un campo di confronto spietato, di concorrenza senza riguardi di sorta, ed anche, talvolta, di sfruttamento vergognoso.
 
Ma queste medesime relazioni non potrebbero trasformarsi in relazioni di servizio, di solidarietà, e rimuovere di per se stesse una delle cause più frequenti di discordia?
 
Giustizia e pace all’interno delle Nazioni
 
9. Se la pace dev’essere la preoccupazione di tutti gli uomini, il costruirla è un compito che spetta, direttamente e principalmente, ai dirigenti politici. Da questo punto di vista, il luogo principale per l’edificazione della pace è sempre la Nazione, quale società politicamente organizzata. Se la formazione di una società politica ha come scopi l’instaurazione della giustizia, la promozione del bene comune, la partecipazione di tutti, allora la pace di tale società non si realizzerà che nella misura in cui questi tre imperativi saranno veramente rispettati. La pace non può fiorire se non là dove sono salvaguardate le esigenze elementari della giustizia.
 
Il rispetto incondizionato ed effettivo dei diritti imprescrittibili ed inalienabili di ciascuno è la condizione sine qua non perché la pace regni in una società. In rapporto a questi diritti fondamentali, tutti gli altri sono in qualche modo derivati e secondari. In una società in cui tali diritti non siano protetti, è spenta l’idea stessa di universalità, dal momento che solamente alcuni individui instaurano, a loro esclusivo profitto, un principio di discriminazione, secondo il quale i diritti e la stessa esistenza altrui vengono a dipendere dall’arbitrio dei più forti. Una tale società non può dunque essere in pace con se stessa; essa reca in sé un principio di divisione, di esplosione. Per la medesima ragione, una società politica non può effettivamente collaborare alla costruzione della pace internazionale, se essa stessa non è pacificata, cioè se al proprio interno essa non prende sul serio la promozione dei diritti dell’uomo. Nella misura in cui i dirigenti di una determinata nazione si impegnano ad edificare una società pienamente giusta, essi apportano già un contributo decisivo all’edificazione di una pace autentica, solida e duratura (cfr. «Pacem in Terris», II).
 
Giustizia e pace tra le Nazioni
 
10. Ma se la pace all’interno di ciascuna nazione è la condizione necessaria affinché possa germinare la vera pace, essa tuttavia non ne è la condizione sufficiente. La costruzione della pace su scala mondiale non potrebbe effettivamente risultare dalle volontà sparse, spesso ambigue e talvolta contraddittorie delle nazioni. E’, del resto, per rimediare a questa carenza che gli Stati si sono provvisti di Organizzazioni Internazionali appropriate, di cui uno degli scopi principali è quello di armonizzare le volontà e di farle convergere verso la salvaguardia della pace e verso una maggiore giustizia tra le Nazioni.
 
In virtù del prestigio che si sono acquistate, in virtù delle loro realizzazioni, le grandi Organizzazioni Internazionali hanno compiuto un’opera rilevante in favore della pace. Senza dubbio ci sono stati degli insuccessi; esse non hanno potuto prevenire ne eliminare rapidamente tutti i conflitti. Ma pure hanno contribuito a dimostrare agli occhi del mondo che la guerra, il sangue e le lacrime non attenuano per nulla le tensioni. Esse hanno offerto la prova, per così dire, sperimentale che, anche a livello mondiale, gli uomini sono capaci di congiungere i loro sforzi e di ricercare insieme la pace.
 
La dinamica cristiana della pace
 
11. A questo punto del mio Messaggio, desidero rivolgermi più espressamente ai miei fratelli e sorelle nella Chiesa. A tutti gli sforzi seri per conseguire la pace, la Chiesa dà il suo appoggio e il suo incoraggiamento. Essa non esita a proclamare che l’azione di tutti coloro che consacrano le loro migliori energie alla causa della pace s’inscrive nel piano della salvezza di Dio in Gesù Cristo. Ma ai cristiani ricorda che essi hanno delle ragioni ben più grandi per essere testimoni attivi del dono divino della pace.
 
Anzitutto, il Cristo, con la parola e con l’esempio, ha suscitato nuovi comportamenti di pace. Egli ha spinto l’etica della pace ben al di là degli atteggiamenti correnti di giustizia e di intesa. All’inizio del suo ministero, proclama: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Invia i suoi discepoli a portare la pace di casa in casa, di città in città (ibid. 10,11-13). Li invita a preferire la pace ad ogni vendetta e perfino a certe legittime richieste, tanto desidera estirpare dal cuore dell’uomo la radice dell’aggressività (ibid. 5,38-42). Esige che siano amati quelli che ogni sorta di barriere ha trasformato in nemici (ibid. 5,43-48). Cita come esempio gli stranieri che si è soliti disprezzare, come i samaritani (cfr. Lc 10,33;17,16). Invita a restare sempre umili ed a perdonare senza misura (Mt 18,21-22). L’atteggiamento di condivisione con coloro che sono sprovvisti del necessario – di cui egli fa il punto-chiave del giudizio finale (cfr. Mt 25,31-46) – deve contribuire efficacemente ad instaurare rapporti di fraternità.
 
Tale appelli di Gesù e il suo esempio hanno già avuto di per se stessi un’ampia risonanza nell’atteggiamento dei suoi discepoli, come attesta la storia da due millenni. Ma l’opera del Cristo si colloca ad un livello di diversa profondità, che è dell’ordine di una misteriosa trasformazione dei cuori. Egli ha portato veramente «da pace sulla terra agli uomini che Dio ama», secondo l’annuncio fatto fin dalla nascita (cfr. Lc 2,14); e questo non solo rivelando loro l’amore del Padre, ma soprattutto riconciliandoli con Dio mediante il suo Sacrificio. Essendo il peccato e l’odio a far da ostacolo alla Pace con Dio e con gli altri, egli l’uno e l’altro ha distrutti mediante l’offerta della sua vita sulla croce; egli ha riconciliato in un solo corpo quelli che erano nemici (cfr. Ef 2,16; Rm 12,5). Da allora, le sue prime parole di Risorto agli apostoli sono state: «La pace sia con voi» (Gv 20,19). Coloro che accolgono la fede formano nella Chiesa una comunità profetica: con lo Spirito Santo trasmesso dal Cristo, dopo il battesimo che li inserisce nel Corpo di Cristo, essi fanno l’esperienza della pace data da Dio nel Sacramento della Riconciliazione e nella Comunione eucaristica; annunciano così «il Vangelo della pace» (Ef 6,15); cercano di viverlo essi stessi giorno per giorno, concretamente; e aspirano al tempo della riconciliazione integrale, allorché, grazie ad un nuovo intervento del Dio vivente che risuscita i morti, l’uomo sarà del tutto trasparente davanti a Dio e ai suoi fratelli. Tale è la visione di fede che sostiene l’azione dei cristiani in favore della pace.
 
Così, con la sua stessa esistenza, la Chiesa si presenta in mezzo al mondo come una società di uomini riconciliati e pacificati dalla grazia del Cristo, in comunione d’amore e di vita con Dio e con tutti i fratelli, al di sopra di ogni sorta di barriere umane; essa è già in se stessa – e cerca di divenirlo sempre più in pratica – un dono e un fermento di pace, offerti da Dio all’intera umanità. Certo, i membri della Chiesa sono ben consapevoli di essere troppo spesso peccatori, anche in questo settore; sentono, tuttavia, la grave responsabilità di mettere in opera questo dono della pace. Pertanto, devono anzitutto superare le loro proprie divisioni per incamminarsi senza indugi verso la pienezza dell’unità in Cristo; collaboreranno così con Dio per offrire la sua pace al mondo. Essi devono pure evidentemente unire i propri sforzi con quelli di tutti gli uomini di buona volontà, che operano per la pace nei diversi settori della società e della vita internazionale. La Chiesa desidera che i suoi figli si impegnino, mediante la propria testimonianza e le proprie iniziative, al primo posto tra coloro che preparano e fanno regnare la pace. In pari tempo, essa si rende ben conto che, nella pratica, si tratta di un’opera difficile, la quale esige molta generosità, discernimento e speranza, come una vera sfida.
 
La pace come sfida permanente per il cristiano
 
12. L’ottimismo cristiano, fondato sulla croce gloriosa del Cristo e sull’effusione dello Spirito Santo, non giustifica in realtà alcuna illusione. Per il cristiano, la pace sulla terra è sempre una sfida, a motivo della presenza del peccato nel cuore dell’uomo. Mosso dalla fede e dalla speranza, il cristiano si impegna dunque a promuovere una società più giusta; lotta contro la fame, la miseria, la malattia; è attento alla sorte dei migranti, dei prigionieri, degli emarginati, (cfr. Mt 25,35-36). Ma egli sa che se tutte le iniziative esprimono qualche cosa della misericordia e della perfezione di Dio (cfr. Lc 6,36; Mt 5,48), esse sono sempre limitate nella loro portata, precarie nei loro risultati, ambigue nella loro ispirazione. Solo Dio, che dà la vita, allorché ricapitolerà tutto nel suo Figlio (cfr. Ef 1,10), realizzerà la speranza ardente degli uomini, portando egli stesso a compimento tutto ciò che sarà stato intrapreso nella storia, secondo il suo Spirito, in materia di giustizia e di pace.
 
Perciò, pur spendendosi con ardore per prevenire la guerra o per porvi termine, il cristiano non si illude ne sulla sua capacità di far trionfare la pace, né sulla portata delle iniziative da lui intraprese a questo scopo. Di conseguenza, egli si interessa a tutte le realizzazioni umane in favore della pace, vi prende parte molto spesso, considerandole con realismo ed umiltà. Si potrebbe quasi dire che le «relativizza» doppiamente, mettendole in relazione con la condizione peccatrice dell’uomo e ponendole in rapporto al disegno salvifico di Dio. Anzitutto, il cristiano, non ignorando che disegni di aggressività, di egemonia e di manipolazione degli altri sono latenti nel cuore degli uomini e talvolta, anzi, nutrono segretamente le loro intenzioni, nonostante certe dichiarazioni o manifestazioni di segno pacifista, sa che sulla terra una società umana totalmente e per sempre pacificata è purtroppo un’utopia, e che le ideologie che la riflettono, come se potesse essere facilmente raggiunta, alimentano speranze irrealizzabili, quali che siano le ragioni del loro atteggiamento: visione erronea della condizione umana, mancanza di applicazione nel considerare nel suo insieme il problema, evasione per attenuare la paura, o, in altri, calcolo interessato. Il cristiano è pure persuaso – non fosse altro per averne fatto la dolorosa esperienza – che queste speranze fallaci conducono direttamente alla pseudo-pace dei regimi totalitari. Ma questa considerazione realistica non trattiene affatto i cristiani dal loro impegno per la pace; essa stimola, anzi, il loro ardore, perché sanno che la vittoria di Cristo sulla menzogna, sull’odio e sulla morte, apporta agli uomini pensosi della pace una motivazione ad agire più decisa di quella offerta dalle antropologie più generose e una speranza più fondata di quella che brilla nei sogni più audaci.
 
E’ questa la ragione per cui il cristiano, anche quando fortemente si impegna a contrastare ed a prevenire tutte le forme di guerra, non esita a ricordare, in nome di una elementare esigenza di giustizia, che i popoli hanno il diritto ed anche il dovere di proteggere, con l’uso di mezzi proporzionati, la loro esistenza e la loro libertà contro un ingiusto aggressore (cfr. «Gaudium et Spes», 79). Tuttavia, tenuto conto della differenza, per così dire, di natura, tra le guerre classiche e le guerre nucleari o batteriologiche, tenuto conto anche dello scandalo della corsa agli armamenti di fronte alle necessità del Terzo Mondo, questo diritto, ben fondato nel suo principio, non fa che sottolineare per la società mondiale l’urgenza di darsi dei mezzi efficaci di negoziato. Così il terrore nucleare, che invade il nostro tempo, può spingere gli uomini ad arricchire il loro comune patrimonio di questa scoperta assai semplice che è alla loro portata, e cioè che la guerra è il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti. Oggi più che mai, dunque, la società umana è costretta a dotarsi degli strumenti di contrattazione e di dialogo, di cui ha bisogno per sopravvivere e, dunque, delle istituzioni indispensabili per la costruzione della giustizia e della pace.
 
Possa essa, altresì, prendere coscienza che questa opera sorpassa le forze umane!
 
La preghiera per la pace
 
13. Nel corso di questo Messaggio, ho fatto appello alla responsabilità degli uomini di buona volontà e, specialmente, dei cristiani, poiché Dio ha affidato la pace agli uomini. Con il realismo e la speranza che la fede permette, ho voluto attirare l’attenzione dei cittadini e dei governanti su un certo numero di realizzazioni e di atteggiamenti, già possibili e capaci di edificare saldamente la pace. Ma, al di là o piuttosto all’interno stesso di questa necessaria azione che potrebbe sembrare dipendere innanzitutto dagli uomini, la pace è prima di tutto un dono di Dio – non bisogna mai dimenticarlo – e deve essere sempre implorata dalla sua misericordia.
 
Una tale convinzione sembra aver animato gli uomini di tutte le civiltà, che hanno messo la pace al primo posto nelle loro preghiere. Se ne trova l’espressione in tutte le religioni. Quanti uomini, facendo l’esperienza delle lotte omicide e dei campi di concentramento, quante donne e quanti bambini in difficoltà a causa delle guerre, si sono rivolti prima di noi al Dio della pace! Oggi che le minacce attingono una gravità del tutto particolare per la loro estensione e il loro carattere radicale, oggi che le difficoltà per costruire la pace si complicano in una maniera nuova, spesso inestricabile, molte persone, anche quelle aventi poca familiarità con la preghiera, possono ritrovarne spontaneamente il sentiero. Sì, il nostro avvenire è nelle mani di Dio, che solo dona la vera pace. E quando i cuori umani progettano sinceramente azioni di pace, è ancora la grazia di Dio che ispira e fortifica i loro sentimenti. Tutti sono invitati a ripetere in tal senso la preghiera di san Francesco d’Assisi, di cui stiamo celebrando l’ottavo centenario della nascita: Signore fa di noi degli artefici di pace; là dove domina l’odio, che noi annunciamo l’amore; là dove ferisce l’offesa, che noi offriamo il perdono, là dove infierisce la discordia, che noi costruiamo la pace.
 
I cristiani, da parte loro, amano implorare la pace, facendo salire sulle loro labbra la preghiera di tanti salmi punteggiati da suppliche di pace e ripetuti con l’amore universale di Gesù. E’ qui un punto già comune e molto profondo in tutti i passi ecumenici. Gli altri credenti di tutto il mondo attendono anch’essi dall’Onnipotente il dono della pace e, più o meno coscientemente, molti altri uomini di buona volontà sono pronti a fare la medesima preghiera nel segreto del loro cuore. Possa una supplica fervente salire così verso Dio dai quattro angoli della terra! Sarà già una magnifica unanimità sul sentiero della pace. E come dubitare che Dio non esaudisca questo grido dei suoi figli: «Signore, donaci la pace! Donaci la tua pace!».
 
Dal Vaticano, 8 dicembre 1981
 
GIOVANNI PAOLO II