1995 – La donna educatrice di Pace

 

Messaggio di
Giovanni Paolo II
per la XXVIII Giornata della Pace
 
La donna educatrice di Pace
 
1 gennaio 1995
 
1. All’inizio del 1995, con lo sguardo proteso verso il nuovo millennio ormai vicino, rivolgo ancora una volta a voi tutti, uomini e donne di buona volontà, il mio appello accorato per la pace nel mondo.
 
La violenza che tante persone e popoli continuano a subire, le guerre che tuttora insanguinano numerose parti del mondo, l’ingiustizia che grava sulla vita di interi continenti non sono più tollerabili.
 
E tempo di passare dalle parole ai fatti: i singoli cittadini e le famiglie, i credenti e le Chiese, gli Stati e gli Organismi Internazionali, tutti si sentano chiamati a porre mano con rinnovato impegno alla promozione della pace!
 
Ben sappiamo quanto quest’opera sia difficile. Essa infatti, per essere efficace e duratura, non può limitarsi agli aspetti esteriori della convivenza, ma deve piuttosto incidere sugli animi e far leva su una rinnovata coscienza della dignità umana. Bisogna riaffermarlo con forza: una vera pace non è possibile se non si promuove, a tutti i livelli, il riconoscimento della dignità della persona umana, offrendo ad ogni individuo la possibilità di vivere in conformità con questa dignità. «In una convivenza ordinata e feconda, va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura; diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili» [Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963),1: AAS 55 (1963), 259].
 
Questa verità sull’uomo è la chiave di volta per la soluzione di tutti i problemi che riguardano la promozione della pace. Educare a questa verità è una delle più feconde e durevoli vie per affermare il valore della pace.
 
2. Educare alla pace significa far dischiudere le menti e i cuori all’accoglienza dei valori indicati da Papa Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris come basilari per una società pacifica: la verità, la giustizia, l’amore, la libertà [cfr. l.c., 259-264]. Si tratta di un progetto educativo che coinvolge tutta la vita e dura per tutta la vita. Esso fa della persona un essere responsabile di sé e degli altri, capace di promuovere, con coraggio e intelligenza, il bene di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, come ebbe a sottolineare anche il Papa Paolo VI nell’Enciclica Populorum Progressio [cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum Progressio (26 marzo 1967), n. 14: AAS 59 (1967), 264]. Questa formazione alla pace sarà tanto più efficace, quanto più convergente risulterà l’azione di coloro che, a diverso titolo, condividono responsabilità educative e sociali. Il tempo dedicato all’educazione è il meglio impiegato, perché decide del futuro della persona e, conseguentemente, della famiglia e dell’intera società.
 
In questa prospettiva desidero rivolgere il Messaggio per la presente Giornata della Pace soprattutto alle donne, chiedendo loro di farsi educatrici di pace con tutto il loro essere e con tutto il loro operare: siano testimoni, messaggere, maestre di pace nei rapporti tra le persone e le generazioni, nella famiglia, nella vita culturale, sociale e politica delle nazioni, in modo particolare nelle situazioni di conflitto e di guerra. Possano continuare il cammino verso la pace già intrapreso prima di loro da molte donne coraggiose e lungimiranti!
 
3. Questo invito particolarmente rivolto alla donna perché si faccia educatrice di pace poggia sulla considerazione che ad essa Dio «affida in modo speciale l’uomo, l’essere umano» [Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris Dignitatem (15 agosto 1988), n.30: AAS 80 (1988), 1725]. Ciò non va tuttavia inteso in senso esclusivo, ma piuttosto secondo la logica di ruoli complementari nella comune vocazione all’amore, che chiama gli uomini e le donne ad aspirare concordemente alla pace e a costruirla insieme. Fin dalle prime pagine della Bibbia, infatti, è mirabilmente espresso il progetto di Dio: Egli ha voluto che tra l’uomo e la donna vigesse un rapporto di profonda comunione, nella perfetta reciprocità di conoscenza e di dono [cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.371]. Nella donna, l’uomo trova un’interlocutrice con cui dialogare sul piano della totale parità. Questa aspirazione, non soddisfatta da alcun altro essere vivente, spiega il grido di ammirazione che esce spontaneo dalla bocca dell’uomo quando la donna, secondo il suggestivo simbolismo biblico, fu plasmata da una sua costola. «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa» (Gen 2, 23). E il primo grido di amore risuonato sulla terra!
 
Se l’uomo e la donna sono fatti l’uno per l’altro, ciò non significa che Dio li abbia creati incompleti. Dio «li ha creati per una comunione di persone, nella quale ognuno può essere “aiuto” per l’altro, perché sono ad un tempo uguali in quanto persone (“osso dalle mie ossa…”) e complementari in quanto maschio e femmina» [Ibidem, n.372]. Reciprocità e complementarità sono le due caratteristiche fondamentali della coppia umana.
 
4. Purtroppo, una lunga storia di peccato ha turbato e continua a turbare l’originario progetto di Dio sulla coppia, sull’«essere-uomo» e sull’«essere-donna», impedendone la piena realizzazione. Bisogna ad esso ritornare, annunciandolo con vigore, perché soprattutto le donne, che più hanno sofferto per tale mancata realizzazione, possano finalmente esprimere in pienezza la loro femminilità e la loro dignità.
 
Per la verità, nel nostro tempo le donne hanno compiuto passi importanti in questa direzione, giungendo ad esprimersi a livelli rilevanti nella vita culturale, sociale, economica e politica, oltre che, ovviamente, nella vita familiare. E stato un cammino difficile e complesso e, qualche volta, non privo di errori, ma sostanzialmente positivo, anche se ancora incompiuto per i tanti ostacoli che, in varie parti del mondo, si frappongono a che la donna sia riconosciuta, rispettata, valorizzata nella sua peculiare dignità [cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris Dignitatem (15 agosto 1988), n.29: AAS 80 (1988), 1723]. La costruzione della pace, in effetti, non può prescindere dal riconoscimento e dalla promozione della dignità personale delle donne, chiamate a svolgere un compito insostituibile proprio nell’educazione alla pace. Rivolgo perciò a tutti un pressante invito a riflettere sull’importanza decisiva del ruolo delle donne nella famiglia e nella società e ad ascoltare le aspirazioni di pace che esse esprimono con parole e gesti e, nei momenti più drammatici, con la muta eloquenza del loro dolore.
 
5. Per educare alla pace, la donna deve innanzitutto coltivarla in se stessa. La pace interiore viene dal sapersi amati da Dio e dalla volontà di corrispondere al suo amore. La storia è ricca di mirabili esempi di donne che, sostenute da questa coscienza, hanno saputo affrontare con successo difficili situazioni di sfruttamento, di discriminazione, di violenza e di guerra.
 
Molte donne, specie a causa dei condizionamenti sociali e culturali, non giungono però ad una piena consapevolezza della loro dignità. Altre sono vittime di una mentalità materialistica ed edonistica che le considera un puro strumento di piacere e non esita ad organizzarne lo sfruttamento con ignobile commercio, persino in giovanissima età. Ad esse va rivolta un’attenzione speciale soprattutto da parte di quelle donne che, per educazione e sensibilità, sono in grado di aiutarle a scoprire la propria ricchezza interiore. Le donne aiutino le donne, traendo sostegno dal prezioso ed efficace contributo che associazioni, movimenti e gruppi, molti dei quali di ispirazione religiosa, hanno mostrato di saper offrire a questo fine.
 
6. Nell’educazione dei figli ha un ruolo di primissimo piano la madre. Per il rapporto speciale che la lega al bambino soprattutto nei primi anni di vita, essa gli offre quel senso di sicurezza e di fiducia senza il quale gli sarebbe difficile sviluppare correttamente la propria identità personale e, successivamente, stabilire relazioni positive e feconde con gli altri. Questa originaria relazione tra madre e figlio ha inoltre una valenza educativa tutta particolare sul piano religioso, perché permette di orientare a Dio la mente e il cuore del bambino molto prima che inizi una formale educazione religiosa.
 
In questo compito, decisivo e delicato, nessuna madre deve essere lasciata sola. I figli hanno bisogno della presenza e della cura di entrambi i genitori, i quali realizzano il loro compito educativo innanzitutto mediante l’influsso derivante dal loro comportamento. La qualità del rapporto che si stabilisce tra gli sposi incide profondamente sulla psicologia del figlio e condiziona non poco le relazioni che egli stabilisce con l’ambiente circostante, come anche quelle che intreccerà lungo l’arco della sua esistenza.
 
Questa prima educazione è di capitale importanza. Se i rapporti con i genitori e con gli altri familiari sono contrassegnati da una relazionalità affettuosa e positiva, i bambini imparano dalla viva esperienza i valori che promuovono la pace: l’amore per la verità e la giustizia, il senso di una libertà responsabile, la stima e il rispetto dell’altro. Al tempo stesso, crescendo in un ambiente accogliente e caldo, essi hanno la possibilità di percepire, riflesso nelle loro relazioni familiari, l’amore stesso di Dio e questo li fa maturare in un clima spirituale capace di orientarli all’apertura verso gli altri e al dono di sé al prossimo. L’educazione alla pace, naturalmente, continua in ogni periodo dello sviluppo ed è particolarmente da coltivare nella difficile fase dell’adolescenza, nella quale il passaggio dall’infanzia all’età adulta non è senza rischi per gli adolescenti, chiamati a scelte decisive per la vita.
 
7. Di fronte alla sfida dell’educazione, la famiglia si presenta come «la prima e fondamentale scuola di socialità» [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris Consortio (22 novembre 1981), n.37: AAS 74 (1982), 127], la prima e fondamentale scuola di pace. Non è pertanto difficile intuire le conseguenze drammatiche alle quali si va incontro quando la famiglia è segnata da crisi profonde che ne minano o addirittura ne sconvolgono gli interni equilibri. Spesso, in queste circostanze, le donne sono lasciate sole. E necessario invece che, proprio allora, esse siano adeguatamente aiutate non solo dalla concreta solidarietà di altre famiglie, di comunità a carattere religioso, di gruppi di volontariato, ma anche dallo Stato e dalle Organizzazioni Internazionali mediante appropriate strutture di supporto umano, sociale ed economico che consentano loro di far fronte alle necessità dei figli, senza essere costrette a privarli oltre misura della loro indispensabile presenza.
 
8. Un altro serio problema si registra là dove perdura la consuetudine intollerabile di discriminare, fin dai primissimi anni, bambini e bambine. Se le bambine, già nella più tenera età, vengono emarginate o considerate di minor valore, sarà gravemente intaccato il senso della loro dignità e inevitabilmente compromesso il loro armonioso sviluppo. L’iniziale discriminazione si ripercuoterà su tutta la loro esistenza, impedendo un pieno inserimento nella vita sociale.
 
Come dunque non riconoscere e incoraggiare l’opera inestimabile di tante donne, come pure di tante Congregazioni religiose femminili, che nei vari continenti e in ogni contesto culturale fanno dell’educazione delle bambine e delle donne lo scopo precipuo del loro servizio? Come non ricordare altresì con animo grato tutte le donne che hanno operato e continuano ad operare sul fronte della salute, spesso in circostanze assai precarie, riuscendo non di rado ad assicurare la sopravvivenza stessa di innumerevoli bambine?
 
9. Quando le donne hanno la possibilità di trasmettere in pienezza i loro doni all’intera comunità, la stessa modalità con cui la società si comprende e si organizza ne risulta positivamente trasformata, giungendo a riflettere meglio la sostanziale unità della famiglia umana. Sta qui la premessa più valida per il consolidamento di un’autentica pace. E dunque un benefico processo quello della crescente presenza delle donne nella vita sociale, economica e politica a livello locale, nazionale e internazionale. Le donne hanno pieno diritto di inserirsi attivamente in tutti gli ambiti pubblici e il loro diritto va affermato e protetto anche attraverso strumenti legali laddove si rivelino necessari.
 
Il riconoscimento del ruolo pubblico delle donne non deve, tuttavia, sminuirne quello insostituibile all’interno della famiglia: qui il loro contributo al bene e al progresso sociale, anche se poco considerato, è di valore veramente inestimabile. In proposito, non mi stancherò mai di chiedere che si compiano decisivi passi in avanti in ordine al riconoscimento e alla promozione di così importante realtà.
 
10. Assistiamo oggi, attoniti e preoccupati, al drammatico «crescendo» di ogni tipo di violenza: non solo singoli individui, ma interi gruppi sembrano aver smarrito ogni senso di rispetto nei confronti della vita umana. Le donne e perfino i bambini sono, purtroppo, tra le vittime più frequenti di tale cieca violenza. Si tratta di forme esecrabili di barbarie che ripugnano profondamente alla coscienza umana.
 
Tutti siamo interpellati a fare il possibile per allontanare dalla società non soltanto la tragedia della guerra, ma anche ogni violazione dei diritti umani, a partire da quello indiscutibile alla vita, di cui la persona è depositaria fin dal suo concepimento. Nella violazione del diritto alla vita del singolo essere umano è contenuta in germe anche l’estrema violenza della guerra. Chiedo pertanto alle donne di schierarsi tutte e sempre dalla parte della vita; e chiedo al tempo stesso a tutti di aiutare le donne che soffrono e in particolare, i bambini, specialmente quelli segnati dal trauma doloroso di esperienze belliche sconvolgenti: solo l’attenzione amorevole e premurosa potrà far sì che essi tornino a guardare al futuro con fiducia e speranza.
 
1l. Quando il mio amato predecessore Papa Giovanni XXIII individuò nella partecipazione delle donne alla vita pubblica uno dei segni del nostro tempo non mancò di annunciare che esse, consapevoli della loro dignità, non avrebbero più tollerato di essere trattate in maniera strumentale [cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), I: AAS 55 (1963), 267-268].
 
Le donne hanno il diritto di esigere che la loro dignità venga rispettata. Allo stesso tempo, esse hanno il dovere di lavorare per la promozione della dignità di tutte le persone, degli uomini come delle donne.
 
In questa prospettiva auspico che le numerose iniziative internazionali previste per il 1995 – di esse alcune saranno dedicate specificamente alla donna, come la Conferenza Mondiale promossa dalle Nazioni Unite a Pechino sul tema dell’azione per l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace – costituiscano un’occasione importante per umanizzare i rapporti interpersonali e sociali nel segno della pace.
 
12. Maria, Regina della pace, con la sua maternità, con l’esempio della sua disponibilità ai bisogni degli altri, con la testimonianza del suo dolore è vicina alle donne del nostro tempo. Ella visse con profondo senso di responsabilità il progetto che Dio intendeva realizzare in lei per la salvezza dell’intera umanità. Consapevole del prodigio che Dio aveva operato in lei, rendendola Madre del suo Figlio fatto uomo, come primo pensiero ebbe quello di andare a visitare l’anziana cugina Elisabetta per prestarle i suoi servizi. L’incontro le offrì l’occasione di esprimere, col mirabile canto del Magnificat (Lc 1,46-55) la sua gratitudine a Dio che con lei e attraverso di lei aveva dato avvio ad una nuova creazione, ad una storia nuova.
 
Chiedo alla Vergine Santissima di sostenere gli uomini e le donne che, servendo la vita, s’impegnano a costruire la pace. Con il suo aiuto possano testimoniare a tutti, specialmente a coloro che vivendo nell’oscurità e nella sofferenza hanno fame e sete di giustizia, la presenza amorevole del Dio della pace!
 
Dal Vaticano, 8 dicembre dell’anno 1994.
 
GIOVANNI PAOLO II