Sud Sudan

Popolazione: 11,3 milioni (2013) Banca Mondiale
Superfice: 618 745 km2
Capitale: Giuba
Moneta: Sterlina suddudanese
Lingua: Inglese e Arabo
Religione: animisto, sono presenti minoranze cristiane
Il Sud Sudan, lo stato più giovane al mondo, procede sulla strada dell’edificazione e implementazione delle istituzioni democratiche affrontando una serie di sfide circa le questioni regionali, situazione politica, protezione dei civili e diritti umani. E’  divenuto indipendente dal Sudan al termine di un periodo storico di conflitto, che ha visto in un primo tempo, tra il 1963 e il 1972, la contrapposizione di forze ribelli e del governo sudanese (la cosiddetta ribellione di Anya-Nya) e in un secondo tempo (tra il 1983 e il 2005), la guerra ad alta intensità tra il regime di Khartoum e i ribelli del Movimento di liberazione popolare del Nord-Sudan (Splm-N).
La fine delle ostilità è stata sancita il 9 gennaio 2005 a seguito delle firma dell’accordo di pace tra le forze del Nord e del Sud Sudan (Comprehensive Peace Agreement). Il CPA prevedeva la convocazione di un referendum sul tema dell’indipendenza del Sud Sudan, da organizzarsi non oltre sei anni dopo la firma del trattato. Nel caso di una vittoria dell’opzione a favore dell’autonomia del Sud Sudan, tale area territoriale avrebbe dovuto costituirsi in stato sovrano, non più tardi di sei mesi dall’esito della votazione.
La maggioranza assoluta dei votanti si è espressa a favore dell’autonomia del Sud Sudan, e il 9 luglio del 2011 è stata istituita la nuova Repubblica del Sud Sudan. La breve storia di indipendenza del Sud Sudan, è stata finora segnata da conflitti interni e conflitti non statali. Sin dalla sua costituzione il nuovo governo del Sud Sudan è stato coinvolto in conflitti intra-statali, soprattutto ad opera dei due principali gruppi ribelli (SSDM/A e SSLM/A), appoggiati dal governo del Sudan, con cui il Sud Sudan continua a confrontarsi militarmente lungo le aree di confine.
In aggiunta ai dati relativi ai conflitti di dimensione nazionale, il Sud Sudan è stato coinvolto sin dalla sua fondazione in varie situazioni di tensione interna, tra diversi gruppi e fazioni in lotta, presso specifiche aree territoriali del paese. Gli episodi di tensione più gravi sono stati quelli registrati nella regione di Jonglei, che hanno prodotto più di 1.400 vittime nel solo anno 2011.
L’anno 2013 si apre con l’organizzazione, il 4 gennaio, di un vertice tra i presidenti del Sudan Omar al-Bashir e del Sud Sudan Salva Kiir. L’incontro che, alla presenza del Primo Ministro dell’Etiopia e del presidente del Sud Africa, inizialmente, sancisce la decisione di entrambi i leader di rispettare le scadenze in tema di sicurezza, confine e petrolio, è seguito dalla ripresa di tensioni. Queste determinano la conclusione delle trattative senza alcun accordo circa la zona demilitarizzata e con l’accusa, nei confronti del governo sudanese, di voler intraprendere “una guerra economica” con il Sud Sudan. La recrudescenza dei combattimenti a Rumbek, Wau, Yei e del ciclo di violenza dei gruppi armati in alcune regioni, in particolare nello stato di Jonglei, da parte dei ribelli, fedeli a David Yau Yau, suscita forte preoccupazione da parte di governo e Missione Internazionale delle Nazioni Unite (UNMISS) .
Le relazioni tra Sudan e Sud Sudan registrano un importante step, venerdì 8 marzo 2013, con la conclusione dell’accordo che rafforza la sicurezza del confine, prepara una risoluzione sostenibile delle controversie in atto tra i due paesi, prevede la creazione di una zona di confine smilitarizzata, l’assegnazione delle operazioni di verifica e controllo della frontiera, l’attuazione dei meccanismi di attivazione dal 10 marzo 2013. L’evoluzione distensiva della situazione è ritardata dai continui scontri nello stato di Jonglei tra l’Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan (SPLA) e ribelli che, il 26 marzo 2013, nella città di Pibor, provocano la morte di 20 soldati e 150 ribelli. La visita a Juba, il 12 aprile 2013, per la prima volta dall’indipendenza del Sud Sudan, da parte del presidente sudanese, è seguita dai colloqui, il 23-25 aprile 2013, che si concludono con la firma di un accordo. Questo prevede l’apertura e la riapertura di 10 corridoi di frontiera, la costituzione di un comitato congiunto di sicurezza (JSC) per facilitare il processo decisionale, rispondere alle richieste dei ribelli e promuovere le relazioni bilaterali e decidere su altre controversie. Un segnale positivo in alcuni settori importanti si concretizza, il 23 luglio 2013, attraverso lo scioglimento, da parte del presidente Salva Kiir, del governo e nella sospensione del vice Presidente, del segretario generale del Movimento di Liberazione del Popolo del Sudan (SPLM), Pagan Amum, accusato di cattiva gestione del partito e incitamento alla violenza. Le consultazioni con le parti, compreso il gruppo parlamentare del Movimento Popolare di Liberazione del Sudan (MPLS), i leader di 17 partiti politici, conducono all’individuazione di 20 ministri la cui designazione, sottoposta al comitato speciale, presentata all’Assemblea legislativa Nazionale, viene approvata, con la sola eccezione del Ministro della Giustizia, il 7 agosto 2013. La proposta di nomina, il 23 agosto, di James Wani Igga quale vice presidente dell’Assemblea legislativa Nazionale, approvata il giorno seguente, la nomina, il 2 settembre 2013, da parte dell’Assemblea Nazionale del suo nuovo presidente, Manasse Magok Rundial e dei due vice presidenti, Jasmine Samuele e Mark Nyupuoch, definiscono la fisionomia del governo, costituito da rappresentanti politici e tecnocrati. L’offerta di amnistia, proposta il 25 agosto 2013, da parte del presidente al Movimento/ Esercito Democratico del Sud Sudan (M/ADS), viene accettata da David Yau Yau che richiede la partecipazione internazionale di UNMISS ai colloqui di pace. L’incontro, in Sudan, tra il presidente Kiir, accompagnato da una delegazione ministeriale, e il presidente Omar Al-Bashir che nello stesso giorno ritira definitivamente la minaccia di vietare il passaggio del petrolio proveniente dal Sud Sudan in territorio sudanese, è seguito, il 23 settembre 2013 a Juba, da quello dei ministri degli interni dei paesi che firmano un accordo per aprire le frontiere commerciali.
Le tensioni, all’interno del partito al potere, conducono, il 15 dicembre 2013, ad un colpo di stato, attuato dai soldati fedeli all’ex vice presidente Riek Machar. Gli scontri, a Juba, Alto Nilo e Bor, precipitano in un conflitto che rischia di trasformarsi in una guerra tra etnie e provocano migliaia di morti, circa 180.000 persone allontanate dalle loro case e 75.000 rifugiate presso le basi UNIMISS. Il Consiglio di Sicurezza, il 24 dicembre 2013, approva all’unanimità la risoluzione 2132 che prevede un aumento temporaneo delle forze della Missione ONU in Sud Sudan, l’immediata cessazione delle ostilità e, infine, autorizza l’uso della forza ai sensi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
I combattimenti che, in atto all’inizio di gennaio 2014, a Bor, Malakal, Bentiu e Juba, Malakal, portano il numero delle persone sfollate a 494.000 e a 86.100 quelle fuggite nei paesi confinanti, determinano la decisione, da parte del Consiglio di Sicurezza, di schierare 5.500 truppe arrivando ad un totale di 140.000. Le speranze in un’immediata fine del conflitto aumentano, giovedì 23 gennaio 2014, con la firma dell’accordo di cessate il fuoco, concluso ad Addis Abeba, da rappresentanti del presidente Salva Kiir e dell’ex vice presidente Riek Machar. Dopo circa due mesi, in assenza di una soluzione politica del conflitto, la Missione delle Nazioni Unite è impegnata, come afferma il Capo della Missione “in una corsa contro il tempo” per aiutare decine di migliaia di civili che cercano protezione presso i campi allestiti dalle Nazioni Unite.
Le condizioni sono difficili sin dall’inizio, a causa dell’eccessivo affollamento, soprattutto a Tomping e Malakal che, con l’arrivo della stagione delle piogge, rischiano di trasformarsi in trappole mortali. L’emergenza umanitaria, definita dal coordinatore degli aiuti umanitari, Toby Lanzer “estremamente grave”, classifica il Sud Sudan ad un livello L3 .
Le ostilità, nonostante i ripetuti appelli della comunità internazionale, precipitano in una drammatica ascesa verso nuove atrocità che le forze ribelli, il 15, 16 e 17 aprile 2014, dopo aver riconquistato la città di Bentiu, conducono nei confronti di civili innocenti e disarmati. I massacri, incitati dalla diffusione radiofonica di discorsi di odio che riportano la memoria indietro di venti anni al massacro del Ruanda, nonostante gli appelli all’unità e alla fine del tribalismo, da parte di alcuni comandanti, polarizzano ulteriormente lo scontro etnico. Il rispetto dell’accordo di cessazione delle ostilità, firmato più di tre mesi fa e violato ripetutamente da entrambe le parti e, la negoziazione di una soluzione politica alle differenze dipendono dal nuovo round di colloqui nella capitale etiope, Addis Abeba. I combattimenti, in atto da sei mesi, provocano l’allontanamento di circa 80.000 persone e determinano, il 27 maggio 2014,  l’adozione, da parte del Consiglio di Sicurezza, della risoluzione 2155  che estende il mandato di UNIMISS fino al 30 novembre.
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