Educare alla Pace, Commissione Giustizia e Pace CEI (1998) / Parte seconda


Parte seconda
 
 
CON IL DONO DELLA PACE CHE VIENE DA DIO
 
 
 
14. – I cristiani sanno di dover condividere con ogni uomo e ogni donna di questa terra la speranza per la pace che cresce e la responsabilità per gli ostacoli che essa incontra. Essi però sanno anche di aver ricevuto un messaggio capace di illuminare e sostenere il cammino dell’umanità e di essere quindi chiamati a testimoniarlo e a condividerlo, perché contribuisca a far fruttificare la speranza e l’impegno.
 
Il messaggio evangelico sulla pace infatti va incontro alla domanda dell’uomo, il quale – nell’apparente irraggiungibilità di una mèta tanto sognata – è tentato di vedere e gridare una sorta di imperfezione di sé e del cosmo, che sembra condannare all’assurdità le attese più profonde. Tale messaggio infatti rivela la fonte ultima di ogni possibilità di pace nell’amore di Dio Padre, che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Per chi crede in Gesù di Nazaret, la sua croce e la sua resurrezione sono la promessa, la via, il compimento della pace, già operanti nel cuore della storia, anche se non ancora nella pienezza dei frutti.
 
La pace: continua offerta di Dio nella storia dell’uomo
 
 
15. – Nel racconto biblico della Genesi, i giorni della creazione sono scanditi dalle parole: “E Dio vide che era cosa buona” (Gen 1,4ss). Il cosmo dunque è uscito buono dalle mani di Dio. La pace – come assenza di morte e pienezza di vita, di bontà, di armonia (shalom) – è un costitutivo essenziale del mondo così come è uscito dalle mani del suo Creatore. Nello stesso tempo Dio ha deciso di affidare all’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, la responsabilità di coltivare e custodire il giardino del mondo; gli ha chiesto pure di accogliere questo compito come una libertà ricevuta in dono, non come spazio di chiusa autosufficienza (cf. Gen 2,15-17).
 
L’uomo aveva però – e ha costitutivamente – il potere di accettare o rifiutare il disegno di Dio e la sua risposta è stata negativa. Così il peccato delle origini ha scatenato il conflitto nei rapporti umani, nei confronti di Dio e del creato (cf. Gen 3). Caino uccide il fratello Abele (cf. Gen 4,1-16) e nella prima città si innalza il canto sinistro di Lamech “Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette” (Gen 4,23-24). La violenza e la divisione si estesero poi al punto che troviamo scritto: “Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra” (Gen 6,6) e decise di mandare il diluvio. Ma Dio è Dio della vita e non della morte: quando il mondo, con il piccolo nucleo dei salvati, riemerse dall’abisso delle acque, l’amore infinito di Dio tracciò nel cielo l’arcobaleno, promessa di un nuovo e definitivo patto di pace (cf. Gen 9,12-17).
 
Così tutta la storia della salvezza, testimoniata dalla rivelazione biblica, è la storia dell’appassionata ri-offerta all’uomo della possibilità e della responsabilità di aderire al “regno di Dio”, cioè al progetto di costruire la storia umana come storia di pace. La chiamata di Abramo, promessa di benedizione per tutte le genti (cf. Gen 12,1-3), è l’avvio di questo cammino. La liberazione di un popolo di schiavi – con l’offerta di un patto d’amore e con la proposta di una legge che temperasse l’istinto della violenza – è il gesto decisivo e rivelatore di una via ormai aperta (cf. Es 3,7-12; 21,23-25).
 
L’annuncio profetico del Messia attraversa tutta la storia di Israele come una promessa di pace (cf. Is 11,1-9) e culmina nella figura del Servo di Jahweh, che prende su di sé la violenza dei propri carnefici e li redime (cf. Is 52,13-53,12). Alla coscienza scoraggiante dei fallimenti umani, è offerta la promessa del dono di un “cuore nuovo”, che cambi dall’interno i passi e le vie dell’uomo (cf. Ez 11,19; Sal 51,12).
  
La pace: dono di Dio in Cristo crocifisso e risorto
  
16. – Il dono divino della pace culmina nella persona, nell’insegnamento e nella vicenda di Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, l’uomo nuovo che può dare al mondo una pace diversa da quella che il mondo stesso pensa di offrire e che risulta impossibile senza la conversione del cuore (cf. Gv 14,27). Infatti la pace offerta da Cristo è il frutto della sua decisione, libera e amorosa, di dare la vita sino al termine estremo della morte di croce, accompagnata dal perdono per i crocifissori: “Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia… per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia” (Ef 2,14-16). Chi opera in questo modo non è lo sconfitto, ma il vincente, perché Dio garantisce per lui. La risurrezione di Cristo infatti è la conferma della fedeltà di Dio e il primo saluto del Crocifisso-Risorto ai discepoli diventa il nucleo stesso del messaggio evangelico: “Pace a voi!” (Gv 20,19).
 
Ogni giorno, di fronte alle sconfitte che la pace conosce anzitutto nella vita personale di ciascuno, possiamo lanciare verso il cielo la domanda, che anche Paolo di Tarso ha sperimentato: “Io non riesco a capire neppure ciò che faccio; infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto… Sono uno sventurato. Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” (Rm 7,15.24).. Di fronte all’annuncio di Cristo risorto però possiamo anche sperare nella possibilità che la nostra domanda non si perda in un cielo vuoto, ma incontri un dono e divenga grido di riconoscenza: “Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!” (Rm 7,25). Se il sangue di Abele continua a gridare dalla terra le sconfitte generate dall’odio, il sangue di Cristo, “dalla voce più eloquente di quello di Abele” (Eb 12,24), grida più forte la speranza di pace.
  
La pace: dono di Dio affidato all’invocazione dell’uomo e alle sue mani
  
17. – La pace del Signore Gesù Cristo ci è già donata, ma l’uomo ha il potere tremendo di respingere il dono e il seme, per quanto rigoglioso, deve conoscere i tempi lunghi e incerti della fioritura, prima che si possa mietere la spiga (cf. Mc 4,26-29). L’attesa umana della pace allora si colloca al crocevia fra l’invocazione alla grazia divina che cambia il cuore e il proposito di non rinnegare il compito affidato da Dio alla nostra libertà, alla nostra sapienza, alla nostra generosità.
 
Perciò il discepolo di Cristo deve fare propria con decisione la logica della croce, cioè la logica del dono di sé e non del dominio e del possesso (cf. Mc 10,32-45); e in tale cammino scopre una giustizia “nuova” e “superiore”, che trasforma radicalmente le dinamiche di ogni rapporto umano, fino a chiedere forme d’amore inattese e impensabili (cf. Mt 5,20-48). Di conseguenza l’impegno a edificare la pace diventa testimonianza resa all’amore di Dio (cf. Mt 5,9), perché si alimenta al distacco dall’ansia dell’avere, proprio di chi si sa affidato all’amore del Padre (cf. Lc 12,22-32) ed è quindi capace di condivisione fraterna (cf. 1 Gv 3,16-18). La fatica quotidiana della riconciliazione nell’unità, diventa segno offerto al mondo, perché possa credere che Cristo è venuto (cf. Gv 17,20-21).
 
La pace: dono di Dio offerto nella speranza
  
18. – La croce di Cristo ci pone in cuore la fiducia che il regno di Dio già opera come lievito nella storia e che alla fine ci saranno “un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21,1), nei quali giustizia e pace regneranno e ogni lacrima sarà asciugata. Ma tutto ci è donato nella forma del “già e non ancora”. È quindi nostro compito rendere ragione di fronte alla storia della speranza che è in noi (cf. 1 Pt 3,13) e assumere la fatica fiduciosa di orientare tale storia al suo traguardo, contro ogni pronostico disperato e con la consapevolezza che fino all’ultimo le tracce del male renderanno la pace incompiuta.
 
Tale impegno coinvolge i gesti e i pensieri della vita quotidiana, nei suoi aspetti più semplici e in quelli più alti, per cui coloro che lo assumono devono mettere in conto il rischio di trovarsi “come pecore in mezzo ai lupi” (Mt 10,16), di suscitare divisioni, di offrire pace e di ricevere rifiuto, ostilità, persecuzione e morte (cf. Mt 10,1-25). Ma, come Cristo risorto, i discepoli continueranno portare al mondo il saluto di pace (cf. Mt 10,12s), a dire con efficacia: “Pace a voi” (1 Pt 5,14), così che la pace augurata diventi dono maturo.
 
La pace: dono di Dio e frutto del perdono  
 
 
19. – L’ascolto dell’invocazione umana alla pace e della risposta che ad essa offre l’amore di Dio conduce alla soglia di una parola grande e tremenda: il perdono. Esso è desiderio di un abbraccio che rigenera e domanda di riparazione e riconciliazione; non distrugge la memoria di ciò che è accaduto, ma proprio perché non dimentica, può misurare per intero l’irreparabilità del dolore e della violenza e compiere il miracolo dell’andare oltre. L’uomo che tenta di chiedere o di dare il perdono sa che nessuno ha forza e vita bastanti per compensare il male inflitto o subìto, ma riconosce che anche un solo ultimo respiro può bastare a strappare il peso dal cuore e a tentare un nuovo azzardo d’amore.
 
La via del perdono rimane comunque una via che appare talora assurda per l’uomo, e lo sarebbe se fosse affidata soltanto alle sue forze. Il perdono invece corrisponde sì a una delle aspirazioni umane più profonde, ma è anzitutto dono e grazia da accogliere, perché è attributo dell’amore di Dio. Dio infatti perdona perché sua è l’onnipotenza dell’amore che crea ogni cosa e, sola, può ri-fare il cuore traviato dell’uomo. Gesù di Nazaret manifesta tale onnipotenza perdonando il peccato nel gesto stesso di guarire il male fisico dell’uomo (cf. Mc 2,1-12), perché ha riscattato personalmente ogni male e ogni crudeltà, morendo per amore sulla croce.
 
Non si può dunque annunciare al modo la pace se non si annuncia il perdono. Il nostro perdonare è partecipazione al perdono di Dio: a Lui lo chiediamo con la preghiera del “Padre nostro”; da Lui lo riceviamo per le nostre colpe e lo impariamo giorno per giorno vivendo gesti umili e concreti di riconciliazione, di giustizia, di solidarietà e di misericordia; nel suo nome lo doniamo, per rinnovare il miracolo di una nuova creazione che cancella l’inimicizia nel mondo. Sul canto sinistro di Lamech, che prometteva settanta volte sette vendetta, si impone il comando di Cristo di offrire settanta volte sette il perdono (cf. Mt 18,21s).