Educare alla Pace, Commissione Giustizia e Pace CEI (1998) / Parte terza

Parte terza
 
 
PER UN PROGETTO CONDIVISO DI EDUCAZIONE ALLA PACE
 
20. – L’invocazione di pace che sale dalla terra chiede di essere tradotta in coerenza di vita; il dono della pace che viene dall’alto attende di essere accolto e custodito. La via da percorrere è quella dell’educazione alla pace, perché su questa via la pace diventa possibile.
 
Ci si può chiedere, talvolta con scetticismo, se i tempi siano maturi per tale progetto, ma per chi ha cuore e occhi trasparenti i segni della speranza sono visibili nella nostra storia e il “vangelo della pace”, che abbiamo condiviso, apre vie nuove e insospettate a chi si lascia raggiungere da Cristo, a ogni uomo e donna di buona volontà. È dunque possibile, ed è necessario, che l’educazione alla pace diventi una scelta decisa.
 
Ora si può “imparare la pace” anzitutto esercitandosi a praticarla ogni giorno, all’interno di ogni relazione e in ogni àmbito di vita. L’educazione alla pace però si propone pure come processo esplicito, intenzionale e permanente, che prevede spazi di ricerca, di elaborazione e di esperienza organicamente strutturati all’interno dell’itinerario educativo globale. Ci sono poi contesti umani (la famiglia, la scuola…) che sono per natura ordinati allo sviluppo libero e responsabile della persona umana, e quindi a far crescere uomini e donne di pace, con una proposta educativa continua e consapevole.
 
L’educazione alla pace deve quindi anche tradursi in un progetto formale, che determini gli obiettivi e le condizioni per il loro raggiungimento, individui i soggetti da chiamare in causa e i percorsi da compiere. Tale progetto deve però nascere come esito condiviso di un confronto libero e sereno, nel quale le diverse opzioni culturali vengono sinceramente vissute e offerte come contributi alla crescita comune e non come motivi di contrapposizione. Per questo sembra utile definire qui alcune linee essenziali, rimandando ad altri àmbiti e ad altre competenze l’individuazione di itinerari più precisi e specifici.
 
 
Il contesto sociale dell’educazione alla pace
 
21. – Un progetto di educazione alla pace richiede un contesto sociale che offra le condizioni necessarie per un’esperienza quotidiana di relazioni costruttive e per una proposta educativa non resa vana dalle circostanze nelle quali si compie. In continuità con il precedente documento Educare alla legalità quindi, si vede necessario mettere a fuoco l’esigenza di promuovere un’adeguata cultura della regola, al di là di ogni prospettiva puramente formale. L’illegalità infatti è nemica della pace e ogni giorno verifichiamo i frutti amari di questa realtà, specialmente quando essa diventa organizzazione e logica di vita, propone modelli esistenziali di sopraffazione e di facile arricchimento, destabilizza con il terrore e il sospetto il tessuto delle relazioni sociali, inquina i processi della politica e dell’economia.
 
La cultura della regola (o della legalità) diventa invece via di educazione alla pace anzitutto e normalmente attraverso la prevenzione, ma anche proponendo vie di riconciliazione là dove le contese già insorte chiedono una soluzione pacificante e non soltanto tecnica. In questa linea il mondo della legge ha introdotto la figura del giudice di pace, che dovrà comunque esprimere sempre meglio il volto del compositore dei conflitti, non l’immagine tradizionale di chi alla fine sentenzia in forza della legge. Per quanto riguarda invece il processo penale va incoraggiata la ricerca di “mediazioni” che – accanto alla specifica dinamica processuale e punitiva, nella quale non c’è spazio per la composizione – pongano attenzione al tema della riparazione, non per risarcire perdite inguaribili, ma per stabilire uno spazio di incontro e di possibile pacificazione fra il reo e la sua vittima. Lo stesso fenomeno del “pentitismo” dovrà sempre meglio configurarsi dentro questo orizzonte, al quale concorre in modo determinante anche la proposta evangelica del perdono.
 
In ogni caso ciò che passa per le aule dei tribunali è pur sempre una parte minima della conflittualità già esplosa e che attende riconciliazione. Per questo vanno sostenuti gli organismi di mediazione (consultori familiari, altre iniziative di volontariato per l’“ascolto”, alle quali può contribuire anche la comunità ecclesiale), che aiutino i cittadini a sanare le fratture e a evitare il senso della sconfitta che diventa voglia di rivalsa. Infatti quando un equilibrio infranto si ricompone per una scelta non subìta ma condivisa, un reale esercizio di pace si è compiuto.
 
 
22. – Un secondo aspetto da considerare è lo sviluppo di una cultura politica che sia supporto autentico all’educazione alla pace. La competizione anche dura è parte integrante del gioco politico, ed è anzi garanzia della democraticità del sistema. Quando però la competizione non si colloca sul piano del confronto democratico fra progettualità diverse e assume le forme dell’aggressione personale e della contrapposizione preconcetta e senza scambi fra blocchi, o quando diventa l’arena di singoli protagonismi o di interessi di parte, allora la politica degenera e i cittadini non possono che smarrire il senso dello Stato e delle sue finalità. Se quindi le recenti vicende della politica italiana hanno inferto un duro colpo alle connivenze fondate sullo scambio di favori, va ora incoraggiato ogni sforzo destinato a far ritrovare alla politica il suo profilo alto, che significa capacità autentica di governare democraticamente lo sviluppo del Paese, in spirito di servizio nei confronti del bene comune e nel contesto di una globalizzazione sempre più ampia dei problemi e dei rapporti.
 
Ci sono in particolare due àmbiti nei quali la cultura e la prassi della politica devono oggi mostrare la propria capacità di essere strumenti di educazione alla pace. Il primo riguarda lo sviluppo effettivo della partecipazione, attraverso la definizione di un sistema compiuto di autonomie, che faccia arretrare lo stato dall’invasione burocratica della società civile e riapra la “vicinanza” e la corresponsabili fra cittadini e istituzioni. La seconda riguarda la capacità di comporre le autonomie in un quadro unitario di responsabilità e di solidarietà, che garantisca in tutto lo Stato eque opportunità di sviluppo e non abbandoni i rapporti reciproci alle spinte egoistiche locali o di gruppo. Una comunità di pace infatti è una comunità di uomini liberi e responsabili, capaci di costruire insieme rapporti di condivisione e di scambio.
 
 
23. – Una terza condizione per l’educazione alla pace è lo stabilirsi di un contesto caratterizzato da un’economia per l’uomo e per la comunità. Anche l’economia infatti è una realtà strutturalmente conflittuale, perché si trova a soddisfare bisogni molteplici con risorse sempre limitate e perché la distribuzione dei beni è talora inestricabilmente legata a rapporti di forza. Già la precedente riflessione su Stato sociale ed educazione alla socialità aveva messo in luce che molti conflitti sociali nascono proprio dallo squilibrio nell’accesso ai beni della terra e possono essere affrontati solo con la rimozione delle ingiustizie, a livello mondiale e locale. Il problema però si pone dentro a ogni uomo, quando l’avere è vissuto come segno di successo e di autoaffermazione; quando il rifiuto della condivisione viene giustificato con il “merito” di chi ha accumulato beni con la propria intraprendenza, anche se la bilancia del merito è spesso truccata da condizioni di partenza disperatamente diseguali; quando la legittima soddisfazione dei bisogni personali viene sopraffatta dalla bramosia dilagante che diventa rapina e sfruttamento sistematici.
 
Esiste quindi un nesso profondo fra la pace e la “questione sociale” della giusta distribuzione dei beni, secondo criteri dinamici di valutazione, che tengano conto dello sviluppo tipicamente umano dei bisogni, ma anche delle condizioni di reciprocità del loro soddisfacimento, in un contesto di effettiva condivisione fraterna, che riceve forza dalla scoperta della paternità universale di Dio. Inoltre una sapiente politica economica, orientata alla pace sociale, non può accontentarsi di moltiplicare i beni materiali, ma deve contribuire all’innalzamento generalizzato della qualità della vita, al rispetto dell’ambiente e alla diffusione dei beni spirituali, che salvano dalla tristezza del consumo diventato costrizione priva di senso umano.
 
Una particolare attenzione va riservata al tema del lavoro, che si rivela sorgente continua di conflitti e postula il confluire delle rivendicazioni contrapposte in un “patto” condiviso. Appare dunque provvida la rete di regole dettate direttamente dallo Stato a tutela di diritti non negoziabili che toccano l’integrità e la dignità della persona che lavora (rifiuto delle discriminazioni, difesa della salute, libertà sindacale…). Al di là di tale rete però si pone il campo della contrattazione collettiva, nel quale si definiscono altre regole di condotta, non imposte dall’alto ma generate dal consenso. Educare alla pace quindi significa maturare la coscienza che lo strumento della contrattazione deve servire a fondere interessi divergenti in un obiettivo comune; a stipulare accordi che non dimentichino o cancellino le giuste rivendicazioni di altri settori, magari troppo deboli per farsi sentire, come quello dei senza-lavoro. Il controllo dell’asprezza del conflitto e del suo dilagare sociale, chiede pure che vengano utilizzati metodi di lotta adeguati al fine, senza che improvvise negazioni di servizi essenziali si ritorcano contro la comunità invece che diventare mezzo di pressione sulla reale controparte.
 
24. – Ma c’è un’ultima condizione, che oggi si rivela assolutamente necessaria per educare alla pace, ed è la comunicazione, intesa non semplicemente come gestione di mezzi informativi, ma come via privilegiata alla fraterna messa in comune dei pensieri, dei sentimenti, delle ragioni di vita, in un incontro libero dall’inganno e dalla violenza.
 
Esistono infatti conflitti interpersonali, generazionali e sociali che derivano o sono resi più acuti da una comunicazione mancante o scorretta, per cui diventa necessario approfondire e stabilire concretamente il rapporto fra educazione alla pace e comunicazione. Tale rapporto va anzitutto definito sul piano personale e interpersonale, quando la comunicazione innesca una ricerca continuamente sollecitata dalla più profonda istanza veritativa, che non prescinde dalla domanda sull’Assoluto; favorisce la formazione di convinzioni e atteggiamenti responsabili, liberi e coscienti; permette la condivisione e l’interscambio di valori comuni in base ai quali costruire la convivenza, a partire dalle comunità originarie; assicura il riconoscimento effettivo dei diritti della persona e l’educazione a viverli in modo solidale e non contrappositivo.
 
Sul piano invece dell’organizzazione e della gestione dei mezzi, la comunicazione educa alla pace quando offre conoscenze che garantiscano alla persona di crescere in dignità e di non essere ingannata su se stessa e sul mondo; rende possibile un’effettiva integrazione tra persone e comunità, in un contesto ormai definito di globalizzazione integrale del mondo; consente agli utenti di non essere fruitori passivi e deresponsabilizzati, ma li stimola ad essere artefici e protagonisti di cultura nella propria comunità.
 
C’è una comunicazione che educa alla partecipazione e quindi alla pace, perché la partecipazione induce alla condivisione e alla corresponsabilità, genera democrazia. C’è invece un circolo di informazioni nel quale troppi uomini non sanno e troppo pochi sanno e determinano ciò che gli altri devono sapere; ma esso serve soltanto a consolidare emarginazioni e sopraffazioni che minano alla radice ogni reale possibilità di pace.
  
Obiettivi per un progetto di educazione alla pace
 
25. – L’articolazione di un organico progetto di educazione alla pace chiede la definizione formale di un insieme coerente di obiettivi, che si presenti strategicamente organizzato e si traduca poi in percorsi più propriamente culturali, pedagogici e didattici, da elaborare in altre sedi. È qui sufficiente offrire alcune indicazioni essenziali, e la prima riguarda l’obiettivo del dialogo, con tutto ciò che esso comporta.
 
A tale proposito occorre anzitutto denunciare i limiti di una tolleranza di matrice illuministico-borghese, che presuppone un soggetto umano individuale così sicuro di sè da poter “portare” (o sop-portare) l’altro e il diverso “anche se” diverso, con magnanimità e distacco. Nella prospettiva invece di una soggettività in relazione (alla quale concorre anche il volto di Dio-Trinità e il continuo definirsi di Gesù di Nazaret in relazione al Padre), l’altro diventa un elemento di costruzione dell’identità individuale, “perchè” diverso, in quanto la sua diversità apre e arricchisce. Così perdono di significato i razzismi e le esclusioni di ogni tipo e maturano possibilità di pace in una convivenza effettivamente interetnica, interculturale, interreligiosa.
 
 
26. – Un altro obiettivo dell’educazione alla pace è individuabile nel “circolo virtuoso” che deve stabilirsi fra sobrietà e solidarietà, allo scopo di ridurre i conflitti che si generano nell’accedere al banchetto dei beni della terra. Infatti la globalizzazione e l’interdipendenza dei problemi economici ed ecologici fanno sì che ogni scelta personale abbia ripercussioni molto ampie e si traduca spesso in un aggravio di peso sulle spalle di chi è meno fortunato. Di conseguenza educare alla sobrietà nell’uso dei beni (evitando sia l’accumulo che lo spreco) diventa condizione per una più giusta distribuzione degli stessi, per oggi e per domani, e colloca la solidarietà in una prospettiva di giustizia e non di elemosina.
 
27. – Un’ultima indicazione può essere data circa l’obbiettivo dell’educazione alla gestione dei conflitti. Essi infatti sono un’esperienza ineliminabile del rapporto interpersonale e sociale, e la loro presenza esige che le persone maturino atteggiamenti, convinzioni e strumenti per vivere dentro la tensione in modo non distruttivo. A questo proposito sembra opportuno segnalare due percorsi. Il primo riguarda la consapevolezza dei diritti e dei doveri, che genera rapporti paritari, non permette di sbilanciare le attese soltanto sui bisogni individuali, impone che ciascuno faccia la propria parte e apre a istanze più alte, come quella del perdono. Il secondo si riferisce all’assunzione competente e responsabile del metodo democratico, in base al quale i conflitti vengono risolti non semplicemente con la forza dei numeri, ma con l’accettazione sincera e consapevole di una regola che cerca di garantire il maggior bene possibile per il maggior numero possibile di persone.
 
Luoghi e soggetti dell’educazione alla pace
 
28. – In un progetto di educazione alla pace emerge in primo luogo e con forza la responsabilità della famiglia, modulo primo e naturale della vita, cellula e paradigma della convivenza sociale. In essa l’educazione alla pace inizia con l’esperienza del “prendersi cura” della diversità di ciascuno rispetto all’altro. Ciò accade anzitutto nella relazione coniugale, quando le inevitabili ferite reciproche – tanto più crudeli perché inferte in un contesto di “prossimità” intensamente voluto – vengono riconosciute sinceramente e lenite nell’esercizio quotidiano della comprensione, della riconciliazione, del perdono.
 
Il percorso di accoglienza reciproca e di continua riconciliazione della coppia, ha anche il potere di ripercuotersi positivamente sui figli, per sé esposti ai traumi derivanti dalle tensioni dei genitori e talora al rischio di essere usati come “ostaggi” o oggetti di ricatto nella contesa. Nel contesto del “prendersi cura” dell’altro va però inserito anche il tema dell’accoglienza della vita, di fronte al fenomeno inquietante della denatalità che si manifesta in Italia. Tale fenomeno infatti è contrario alla cultura di pace perché spesso è segno di un conflitto fra la responsabilità verso una nuova vita e la conservazione della libertà e del benessere personali; e perché riduce le possibilità di sperimentare l’“essere fratelli” nel suo contesto primario e naturale.
 
L’educazione alla pace in famiglia si sviluppa poi nel modo di vivere le relazioni e i conflitti generazionali, tra genitori e figli, superando da una parte l’autoritarismo che impone senza motivare e dall’altra la tentazione di liquidare facilmente la saggezza maturata dall’esperienza di vita. Per questo occorre definire regole semplici e condivise di vita familiare, dove ciascuno possa conoscere e sperimentare diritti e doveri; e soprattutto occorre stabilire un dialogo che affronti i temi forti della vita, superando l’impaccio delle differenze in un clima fatto di accoglienza, ascolto, rispetto e amore donati senza riserva. In tale clima si rivela particolarmente il “genio” femminile dell’educare alla pace, perché la contiguità della relazione educativa con quella connessa al dono della vita (fin da quando essa è custodita nel grembo) può fondare un rapporto che porta in sé l’offerta e la certezza dell’essere accolti e amati.
 
Infine, la famiglia educa alla pace quando rifiuta ogni chiusura egoistica, in nome della propria quiete, e diventa luogo nel quale trovano risonanza, ascolto e risposta le sofferenze e le attese del mondo, con la collaborazione di tutti i membri. Ciò comporta scelte quali la determinazione del livello di benessere familiare con attenzione ai bisogni altrui e non solo al calcolo delle risorse possedute; la disponibilità a mantenere nell’àmbito familiare i membri che hanno bisogno di cure particolari e di aprire la casa a forme di affido, di adozione o simili; la capacità di assumere responsabilità negli spazi di partecipazione civile ed ecclesiale, particolarmente in quelli che richiedono l’esperienza di coppia o di genitori (scuola, consultori matrimoniali, ecc.). Ovviamente, perché la famiglia possa far fronte alle proprie responsabilità verso la vita e verso l’educazione, occorre anche una politica familiare che risponda all’esigenza di conciliare il lavoro con la maternità e le cure parentali; e che ponga le condizioni per un effettivo esercizio del diritto alla casa, alla salute, al lavoro e alla libertà educativa, anche in riferimento alla scelta scolastica.
 
 
29. – Accanto alla famiglia, un progetto di educazione alla pace chiede il coinvolgimento della scuola. Infatti, in un contesto di corretta sussidiarietà, la scuola si affianca alla responsabilità primaria della famiglia per proseguire l’educazione alla pace, attraverso un intervento pedagogico che ha al suo centro l’esperienza culturale. Tale compito (dal quale non va ritenuto assente il mondo universitario, pur con la specificità che lo caratterizza) riguarda anzitutto i modi concreti nei quali sono vissute le relazioni scolastiche e nei quali la scuola si inserisce nel più ampio contesto sociale, coinvolgendo i diversi soggetti in una prospettiva di “comunità educante”. Si può allora “imparare la pace” a scuola, vivendo processi effettivi di partecipazione, democrazia e responsabilità nel lavoro, nel rispetto dei diversi ruoli e competenze; prendendosi cura di chi è più debole ed evitando che l’apprendimento diventi puro spazio di competizione per il successo personale e quindi radice di conflitti, invece che strumento di relazione e di aiuto reciproco.
 
In secondo luogo la scuola risponde al progetto di educazione alla pace con l’offerta di un “sapere per la vita”, identificato nell’apprendimento dei percorsi cognitivi-valutativi e delle conoscenze che rendono possibile il distacco critico e l’autonomia personale, senza dei quali non ci sono libertà e responsabilità, e neppure cultura di pace. Ciò non significa ovviamente che il tema della pace debba configurarsi come contenuto di una particolare disciplina scolastica. È invece necessario che nella didattica e nei contenuti dei diversi saperi siano fatti emergere esperienze comunicative, quadri di riferimento e significati valoriali che possono dar vita a un’organica cultura di pace. Nella programmazione di particolari saperi poi si potranno prevedere utilmente alcune unità didattiche finalizzate ad esplicitare organicamente il tema della pace nel contesto della ricerca storica, letteraria, religiosa, filosofica, economica, geografica, ecc.  
 
 
30. – L’educazione alla pace costituisce però un itinerario di formazione permanente, che deve coinvolgere tutte le esperienze nelle quali si realizza lo sviluppo integrale della persona umana, valorizzando anche dimensioni interiori e “gratuite”, quali la contemplazione, la creazione e ri-creazione estetica, la riflessione sapienziale, e non solo ciò che riguarda gli aspetti sociali del conflitto.
 
Per questo un progetto di educazione alla pace interessa il vasto e complesso mondo dell’associazionismo, nel quale le persone di ogni età si raccolgono spontaneamente per rispondere al bisogno di continua crescita personale, di comunicazione e di socializzazione, di cultura, di esperienza religiosa, di sport e tempo libero, ecc.; o per mettere a disposizione competenze ed energie in varie forme e organizzazioni di volontariato sociale e di impegno civile, sindacale e politico. Anche tali aggregazioni infatti possono offrire percorsi esperienziali, animati dai valori che fanno crescere le possibilità di pace ad ogni livello.
  
Comunità cristiana e educazione alla pace
  
31. – La comunità cristiana si riconosce come un popolo di fratelli e di sorelle riconciliati per grazia dall’amore di Dio, nonostante le continue resistenze e cadute, attraverso la morte e la resurrezione di Cristo e con l’opera incessante dello Spirito di carità e verità. Essa quindi risponde all’invocazione umana di pace anzitutto accogliendo e celebrando nella storia il mistero della pace che viene dall’alto, e sottoponendosi alla sua potenza rinnovatrice per rendergli testimonianza davanti a tutti.
 
I segni di questo cammino sono dunque l’ascolto della Parola, che convoca l’umanità attorno allo svelarsi del progetto di Dio; la partecipazione, soprattutto domenicale, al banchetto del Corpo e del Sangue di Colui che ha dato se stesso per riconciliare i dispersi; la gioiosa esperienza del perdono del Padre, reso presente nel sacramento della riconciliazione; l’appartenenza a una comunità che vive, custodisce e manifesta – anche se con mezzi e gesti poveri e compromessi – una comunione che è partecipazione alla vita stessa di Dio e si apre a una fraternità senza confini; la possibilità di posare sul mondo uno sguardo che riconosce in ogni “ultimo” la presenza di Colui che si è fatto servo di tutti per amore, e quindi di offrire gesti di carità che diventano annuncio e svelamento del volto di Dio, perchè solo a Lui sia resa gloria.
 
L’esperienza del dono divino della riconciliazione, accolto e testimoniato, diventa per la Chiesa possibilità concreta di uno stile di vita che educa alla pace.
 
a) Il dono della pace va chiesto con insistenza nella preghiera e va accolto in modo particolare nella liturgia, dove Dio attualizza il suo fare grazia. È quindi importante valorizzare i segni liturgici che esprimono e fanno sperimentare il dono e l’impegno della pace, in particolare nella sequenza penitenziale di gesti di riconciliazione che preparano alla celebrazione sacramentale del perdono di Dio e da essa promanano. Il tema della pace poi, con le sue valenze di fede, trova il suo spazio naturale nei momenti formativi della vita comunitaria, nelle occasioni che convocano tutto il popolo di Dio (come la celebrazione della Giornata mondiale della pace), nelle esperienze di catechesi per ogni età e condizione, negli itinerari di formazione propri di gruppi, associazioni e movimenti ecclesiali, nelle “scuole di pace” promosse dalla comunità ecclesiale.
 
b) Le comunità cristiane sono chiamate a una costante attenzione verso i problemi della pace nel mondo, con un duplice obbiettivo: operare su di essi un discernimento sapienziale di fede, dal quale derivino motivi di conversione e di impegno; e esprimere nei loro confronti prese di posizione e gesti di partecipazione visibili e coerenti, anche incoraggiando scelte generose come quelle della non violenza, dell’obiezione di coscienza, dell’autotassazione a vantaggio dei poveri ecc. Questo impegno, che ha la sua sede naturale nei Consigli pastorali parrocchiali e diocesani, chiede la valorizzazione delle competenze dei laici cristiani e delle aggregazioni laicali ecclesiali e un dialogo fiducioso e collaborativo con i movimenti e le organizzazioni a favore della pace che operano nella società civile.
 
c) Nella comunità cristiana si incontrano gruppi e persone che interpretano in modi diversi il cammino di fede e il rapporto con il mondo; non di rado tale diversità diventa motivo di dubbi incrociati e di scarsa collaborazione, rischiando anche di rendere meno efficace la testimonianza della comunione. Lo stile di pace esige allora che ogni posizione accetti di subordinarsi al discernimento della Parola, della comunità e dei Pastori, così che ogni dono dello Spirito venga riconosciuto e armonizzato nell’unità della comunione e della missione. In tal modo il pluralismo diventa ricchezza e non conflitto, nella continua tensione di ricerca che sa coniugare verità e carità e si dirige verso l’unità in Cristo. All’interno di questo cammino ecclesiale, le comunità di vita consacrata possono rendere efficace la loro testimonianza evangelica offrendo l’immagine di un’umanità nuova, convocata nella fraternità non per la forza dei legami umani, ma per la potenza della comunione che viene da Dio. La fatica e la gioia della continua riconciliazione nella comunità si amplia poi nel dialogo ecumenico ed interreligioso, che -nelle sue varie forme e organizzazioni- si sta oggi rivelando come una delle fondamentali vie di pace, attraverso l’incontro nella preghiera, nella riflessione e nell’impegno.
 
d) La comunità cristiana riconciliata diventa capace di incontrare gli uomini e le culture del proprio tempo con un atteggiamento di rispetto e di “compagnia”. La Chiesa infatti esiste non per sé, ma per annunciare e testimoniare il vangelo a ogni creatura, così come lo ha ricevuto dal suo Signore e Maestro. Ma la testimonianza resa alla verità non può diventare motivo perché uomini e movimenti di idee si sentano esclusi e non riconosciuti nel cammino di pace che coinvolge tutti e all’interno del quale matura il progetto divino di riconciliazione che chiamiamo regno di Dio. In questa prospettiva anche il progetto culturale che sta maturando nella Chiesa italiana diventa contributo all’educazione alla pace non solo assumendo il tema della pace come riferimento valoriale decisivo, ma anche proponendo uno stile e forme concrete di dialogo e di interscambio che favoriscano un confronto pacificante e arricchente fra le diverse anime culturali del paese.