La storia del conflitto

Nel 1948 venne assassinato, a Bogotà, il leader liberale Jorge Eliécer Gaitán. La rivolta popolare che seguì è conosciuta come El Bogotazo. Lo stesso anno, un sindaco liberale organizzò il primo gruppo guerrigliero dei 36 che entrarono in azione durante i governi dei presidenti Ospina Pérez, Laureano Gómez e Rojas Pinilla.

Le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), comandate da Manuel Marulanda (soprannominato “Tiro Fijo”, cioè “colpo sicuro”) e da Jacobo Arenas fecero la prima apparizione nel 1964 quando un gruppo armato comparve nella Marquetalia. Della guerriglia faceva parte anche il sacerdote Camilo Torres Restrepo, cofondatore dell’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale), morto in combattimento nel 1965.
La guerriglia rurale si scontrò con i gruppi di “autodifesa”, armati e finanziati dai latifondisti, con l’appoggio dell’esercito e, a volte, di mercenari internazionali. Senza ammetterlo ufficialmente, anche l’esercito formò dei gruppi paramilitari, denunciati dalle associazioni umanitarie come Amnesty International.
Nel 1974 il presidente liberale Alfonso López Michelsen volle rivolgere maggiore attenzione alle rivendicazioni popolari, ma fallì a causa dell’intervento dei gruppi di potere economico.
La guerriglia, in particolare le FARC e il Movimento 19 Aprile (M- 9), molto attivi nel decennio precedente, subirono la dura repressione attuata dal governo di Julio C. Turbay Ayala (1978-1982).
Nel 1982, il conservatore Belisario Betancur venne eletto presidente. Giornalista, poeta e umanista, Betancur si impegnò per la pace in America Centrale. Durante il suo governo, la Colombia entrò a far parte del Movimento dei Paesi Non Allineati, difese il diritto delle nazioni debitrici a negoziare con i paesi creditori e nel 1983 cominciò le trattative per la pace con l’M-19.
Nel 1980, il capo dell’M-19, Jaime Bateman, morì in un “incidente” aereo e i negoziati vennero sospesi. Le FARC, invece, raggiunsero un’intesa con i rappresentanti del governo.
L’oligarchia agraria – il 4% dei proprietari per il 67% dei terreni produttivi – definì il piano di pace una “concessione ai sovversivi” e propose invece la formazione di milizie speciali. Ripresero le azioni paramilitari, in particolare del gruppo MAS (Morte ai Sequestratori) che si opponeva al ritiro dell’esercito dalle zone interessate dalla guerriglia.
Nel gennaio 1985 il governo adottò misure di risanamento economico quali la riduzione delle spese pubbliche, l’aumento dei prezzi dei combustibili e dei trasporti, l’aumento delle imposte. Di conseguenza si acuì la recessione, diminuì il potere d’acquisto dei salari, si accelerò la svalutazione.
Il Comitato Permanente per i Diritti Umani denunciò la scomparsa di 80 prigionieri in un anno, documentò torture ai prigionieri politici e 300 esecuzioni clandestine. Il numero degli attivisti politici scomparsi salì a 325.
Il 6 novembre 1985, 35 guerriglieri dell’M-19 occuparono il Palazzo di giustizia di Bogotà. L’intervento dell’esercito provocò un massacro: oltre ai guerriglieri, morirono altre 53 persone, tra magistrati e civili.
Il narcotraffico, in questa situazione di violenza, assunse il ruolo di un autentico centro di potere.
Oltre duemila attivisti di sinistra caddero vittime dei terroristi. Si scatenò una guerra a tutti i livelli tra il governo e la mafia della droga.
I dati ufficiali confermarono l’esistenza di oltre 140 gruppi paramilitari nel paese, per lo più finanziati dal narcotraffico. La DEA (Drug Enforcement Administration) degli Stati Uniti fu accusata di bombardare con prodotti chimici le piantagioni di coca.
Alle elezioni presidenziali del 27 maggio 1990, il liberale Cesar Gaviria venne eletto presidente con il 48% dei voti, in una consultazione che registrò il 58% di astensioni.
A partire dal giugno 1991, si svolse una serie di incontri a Caracas. Vi parteciparono esponenti del governo di Gaviria, rappresentanti delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), dell’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) e del Coordinamento Guerrigliero Simón Bolívar, attivo su più di un terzo del territorio. All’ordine del giorno la smobilitazione della guerriglia stessa, la subordinazione delle Forze Armate al potere civile, lo smantellamento dei gruppi paramilitari e il ritorno dei guerriglieri alla vita civile e ad un impegno politico partitico.
La nuova Costituzione del 5 luglio 1991 introdusse la carica di vicepresidente, vietò il secondo mandato presidenziale e stabilì il divorzio civile in caso di matrimonio cattolico, l’elezione diretta delle autorità locali, un regime di autonomia per i popoli indigeni, l’istituto del referendum e l’iniziativa legislativa popolare, la pari opportunità tra uomini e donne.
Il 27 ottobre 1991, il presidente e le tre maggiori forze della Costituente si accordarono per ridurre il numero dei rappresentanti e, dopo lo scioglimento del Congresso, si svolsero le nuove elezioni parlamentari. Il Partito Liberale, anche se disgregato in vari gruppi, raggiunse il 60% dei voti e l’ADM-19 il 10%.
Il processo di pace entrò in crisi a partire dal 1992. Dopo l’interruzione del dialogo, il governo cominciò la cosiddetta “guerra totale”, che autorizzava l’intervento contro le organizzazioni civili che avevano rapporti con i gruppi ribelli.
Ricominciò anche l’attività dei gruppi paramilitari, le cui azioni erano concentrate nei dipartimenti di Magdalena, Boyacá e nella città di Medellín. La violenza portò a un massiccio esodo delle popolazioni verso l’interno del paese.
A novembre il governo decretò lo stato di emergenza. Pablo Escobar Gaviria – capo del cartello di Medellín, potente organizzazione di narcotrafficanti – evaso intorno alla metà del 1992, ricominciò le azioni armate. Nel gennaio 1993 apparve sulla scena il gruppo PEPES (Persecutori di Pablo Escobar), che uccise trenta esponenti del cartello in due mesi, distrusse varie proprietà di Escobar e si accanì contro gli appartenenti alla sua famiglia.
Infine, il 2 dicembre, la polizia uccise Escobar in uno scontro a fuoco nel centro di Medellín.
La Corte Suprema di Giustizia depenalizzò il consumo della cocaina, della marijuana e di altre droghe. A questa misura si opposero vasti gruppi politici e religiosi, guidati dal presidente Gaviria.
La crisi del mercato del caffè e la siccità del 1993, unite al calo della richiesta di banane da parte della Comunità Europea, colpirono le esportazioni. Nonostante ciò, con duemila milioni di dollari provenienti ogni anno dal narcotraffico e con la scoperta del petrolio nella provincia di Casanare, il paese ebbe una crescita del 2,8% pro capite. Tuttavia il 45% della popolazione viveva sotto la soglia di povertà.
Il presidente Gaviria, con l’appoggio degli Stati Uniti, fu nominato segretario generale dell’OEA (Organizzazione degli Stati Americani) e alle presidenziali del 1994 favorì la vittoria del candidato del suo partito, Ernesto Samper.
Samper iniziò il suo governo con una serie di vittorie contro il narcotraffico, ma nel settembre 1995 scoppiò uno scandalo politico quando un esponente del cartello di Cali rivelò che questa organizzazione aveva contribuito alle campagne elettorali di Camper e del suo concorrente Pastrana.
Nell’agosto del 1996 Samper dichiarò lo stato di emergenza per reprimere l’ondata di violenza e sequestri, fatto interpretato come il tentativo di proteggersi dagli scandali legati alla droga. Non cessarono comunque le uccisioni degli esponenti dell’opposizione e le azioni delle FARC e dell’ELN, che attaccarono linee elettriche, oleodotti e caserme della polizia e dell’esercito.
Gli sforzi per sradicare le piantagioni di coca e di papavero proseguirono, come pure le operazioni armate contro le basi operative dei cartelli. Alcuni dei principali capi del cartello di Cali, che dominava il 70% del traffico mondiale della cocaina, si consegnarono spontaneamente. Gli Stati Uniti nel marzo 1996 cancellarono la Colombia dalla lista dei paesi che collaboravano alla lotta alla droga, privando il governo degli aiuti bilaterali e bloccando l’accesso alle risorse finanziarie esterne.
Circa 1.900 candidati rinunciarono a presentarsi alle elezioni locali del 26 ottobre, mentre, dall’inizio del 1996, 49 tra sindaci e consiglieri comunali furono assassinati e oltre 180 sequestrati. A partire dall’agosto 1995, il procuratore delegato per i Diritti Umani ordinò sanzioni disciplinari, tra cui 50 provvedimenti di destituzione, nei confronti di 126 tra militari e poliziotti. Nello stesso periodo vennero aperti 600 procedimenti contro le forze di sicurezza, in relazione a 1.338 casi di assassinio, tortura o sparizione.
Stime di diverse organizzazioni indicarono che all’inizio del 1997 un milione di colombiani erano stati espulsi dalle loro abitazioni nelle zone di conflitto, soprattutto a causa dell’azione dei gruppi paramilitari. Secondo il governo, i gruppi della guerriglia potevano contare ogni anno su 750 milioni di dollari, molto più dei proventi del caffè. Le uniche imprese che superavano questi introiti erano quelle dei cartelli della droga di Medellín e di Cali.
Il presidente statunitense Clinton decise, nel febbraio 1998, di “riammettere” la Colombia tra gli stati che collaborano con gli USA nella guerra al narcotraffico, invocando ragioni di “interesse nazionale”. Secondo i dati della Banca Mondiale, l’alto numero di omicidi ostacolava di due punti l’anno la crescita del PIL.
La peggiore sconfitta delle forze armate in 35 anni di guerra si registrò nel marzo 1998 nel Caquetá. Tra 60 e 80 soldati morirono in uno scontro con le FARC, e questo provocò nel governo una gravissima crisi, a causa dello svantaggio dell’esercito di fronte alla guerriglia.
Nel giugno 1998, l’ex sindaco di Bogotà, Andrés Pastrana, conservatore, fu eletto presidente. Capo del partito Nuova Forza Democratica, Pastrana ottenne il 50,4% dei voti, ponendo fine a un periodo di 12 anni ininterrotti di governo del Partito Liberale.
Nel novembre del 1998, Pastrana propose una cessazione delle ostilità per dare un segnale al mondo che le parti si impegnavano nel processo di pace. In dicembre, tuttavia, la ratifica della tregua fu rinviata. Le FARC intensificarono le operazioni militari. 42 Nell’agosto del 2000 Pastrana lanciò il Piano Colombia, ispirato dagli Stati Uniti, con cui progettava di sradicare 60 mila ettari di coltivazioni di coca. Il piano implicava la creazione di tre battaglioni antidroga, addestrati ed equipaggiati da forze speciali degli Stati Uniti. L’obiettivo era indebolire economicamente la guerriglia e i narcotrafficanti invece di affrontarli sul campo di battaglia.
Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, la Colombia è stata inclusa da Washington nella lista degli obiettivi della “campagna antiterrorismo”, sebbene non si conoscano le caratteristiche del nuovo Piano Colombia. Ciò ha permesso agli Stati Uniti di eludere i divieti imposti dalla legislazione interna e di collaborare attivamente alla guerra del governo colombiano contro la guerriglia.
I negoziati di pace tra il governo e le FARC si sono interrotti il 20 febbraio 2002 dopo il sequestro da parte dalla guerriglia di alcuni esponenti politici, nel tentativo di influenzare il risultato elettorale e ottenere lo scambio degli ostaggi con i guerriglieri incarcerati. Alla data delle elezioni parziali del 10 marzo i politici sequestrati erano 12, compresa la candidata alla presidenza Ingrid Betancour. Il governo perse la maggioranza e si rafforzò la posizione degli alleati del candidato della destra Álvaro Uribe Vélez, legato alle forze paramilitari raggruppate sotto la sigla AUC, Autodefensas Unidas de Colombia (Autodifese Unite Colombiane). Il 14 aprile Uribe sfuggì al terzo attentato in sette mesi (il quindicesimo nella sua vita).
Dopo l’interruzione dei negoziati, le FARC organizzarono attentati in varie città provocando un elevato numero di vittime tra i civili. L’attentato del 4 maggio 2002, in cui morirono 117 persone, tra cui almeno 40 bambini, per i colpi di mortaio sparati contro la chiesa dove si rifugiava la popolazione di Bojaya, rappresentò un momento particolarmente tragico di questa escalation di violenza.
Nel maggio 2002 Washington stanziò 2.600 milioni di dollari, il doppio del totale utilizzato per il Piano Colombia, per effettuare un deciso intervento militare nel continente.
In aprile il governo avviò il Piano Democrazia, una strategia che impegnò 212.000m effettivi tra esercito, polizia, aeronautica e servizi segreti per garantire il regolare svolgimento delle elezioni presidenziali del 26 maggio in tutto il territorio colombiano. A causa del clima di terrore, il tasso di astensione arrivò al 55%. Interrompendo l’alternanza storica tra liberali e conservatori, l’indipendente Uribe Vélez fu il primo candidato a vincere alla prima tornata elettorale con il 52,96% dei voti, mentre l’avversario, il liberale Horacio Serpa, dovette accontentarsi del 31,77%. Durante la campagna elettorale Uribe aveva promesso di garantire la «sicurezza a tutti i colombiani».
Si stima che 25 milioni di colombiani vivano al di sotto della soglia di povertà; di questi, 11 milioni vivono in miseria. La diseguaglianza nella distribuzione del reddito è chiaramente riflessa dal fatto che l’1,5% della popolazione possiede l’80% del terreno utilizzabile per l’agricoltura.
Nel gennaio 2003 Uribe richiese l’intervento diretto di Washington nella lotta contro la guerriglia e i gruppi paramilitari, qualificati come “terroristi”. Nello stesso mese gli USA inviarono un contingente militare nella provincia di Arauca. Si trattava delle prime truppe statunitensi direttamente coinvolte nella guerra civile colombiana.
Nell’ottobre 2003 il governo indisse un referendum per una riforma costituzionale. La vittoria di Luis Eduardo Garzón, candidato del partito di centrosinistra Polo Democratico Indipendente (IDP), alle elezioni per il sindaco di Bogotà (la carica più importante del paese dopo la presidenza) rappresentò un cambiamento storico nella politica colombiana, che colse di sorpresa i due partiti tradizionali: un movimento di sinistra si era consolidato su scala nazionale.
Secondo un rapporto di Human Rights Watch (HRW) più di 11 mila bambini e ragazzi sono stati reclutati dalla guerriglia o dai paramilitari. Questi ragazzi spesso commettono atrocità e sono costretti a giustiziare altri bambinisoldato che cercano di fuggire.
In luglio, oltre 200 parlamentari britannici, per lo più laburisti, chiesero al loro governo di sospendere le forniture di armi alla Colombia, a causa dei legami tra le forze paramilitari e lo stato di quel paese. Nello stesso mese Misael Vacca Ramírez, vescovo di Yopal (città a nord-est di Bogotá) fu rapito, e liberato dopo tre giorni, da membri dell’ELN.
In agosto, nella comunità indigena Paéz Nasa della regione di Cauca, situata nel sud-ovest del paese, le FARC sequestrarono alcuni dirigenti indigeni dell’organizzazione medica ACIN. Le FARC detengono oltre 1.500 ostaggi. Nell’agosto del 2004 il capo guerrigliero Raúl Reyes accettò di negoziare con il governo con la mediazione dell’Alto Commissario per la Pace, Luis Carlos Restrepo, in una zona smilitarizzata. In settembre la comunità Paéz Nasa inviò una delegazione di 250 membri della sua guardia indigena a dialogare con le FARC. Infine i dirigenti indigeni furono liberati.
In ottobre, centinaia di migliaia di persone manifestarono in tutto il paese contro le politiche del governo Uribe. La protesta, diretta soprattutto contro la disoccupazione, fu pacifica tranne che a Popayán, dove si verificarono incidenti.
Nel 2006 sono più di 20 mila i paramilitari che hanno abbandonato le armi in Colombia, a seguito dell’ultima fase di disarmo nel processo di pace. 2.500 combattenti del Blocco centrale bolivariano hanno deposto i loro fucili mitragliatori nella città di Santa Rosa, a nord di Bogotà. Il governo sostiene che la fazione controllava un’area di produzione di coca. Secondo il processo di pace, chi rinuncia alla lotta armata pur avendo commesso crimini, avrà uno sconto di pena. Alla maggior parte dei paramilitari verrà però concessa un’amnistia, oltre al reintegro sociale, all’inserimento in programmi di lavoro e a uno stipendio per due anni. I gruppi di tutela dei diritti umani hanno espresso la preoccupazione che i paramilitari che hanno commesso orribili atrocità possano rimanere impuniti.
Nel febbraio 2006 la Presidenza austriaca dell’Unione Europea ha esortato la guerriglia delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) a “rispondere in modo costruttivo” alla proposta formulata dai ‘paesi amici’ – Francia, Spagna e Svizzera – per raggiungere un ‘accordo umanitario’ che consenta il rilascio dei sequestrati. La Ue è tornata a condannare “la pratica crudele e inumana dei sequestri ovunque accada. La tragedia che vivono i rapiti in Colombia – prosegue il comunicato – suscita ancora una volta l’attenzione e la riprovazione della comunità internazionale”. Per questo, “la Ue riconosce la necessità di raggiungere un accordo umanitario e ritiene che questi avvenimenti mettono in rilievo l’urgenza di aprire un dialogo.
Secondo fonti dell’Osservatorio per le mine, nel territorio di 659 municipalità della Colombia sono nascoste mine antiuomo, 289 in più rispetto al 2000. Negli ultimi cinque anni 2.358 persone sono state colpite da questi ordigni; Antioquia, Meta e Norte de Santander sono le zone che hanno registrato il maggior numero di casi. I ribelli delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) hanno minato molti territori rurali, specialmente ne La Macarena, per proteggere le coltivazioni di coca. Secondo l’Osservatorio, sulle 4.575 persone colpite dal 1990, più di 1.600 erano civili, quasi tutti contadini, e 476 erano bambini. In quest’arco di tempo sono morte 1.125 persone a causa delle mine.
La Colombia si aggiudica il triste primato mondiale per il numero di vittime delle mine anti-uomo. Nel solo 2005 sono stati registrati 1.060 casi sul territorio nazionale, al di sopra delle statistiche di Cambogia e Afghanistan. La notizia è stata resa nota dall’Osservatorio sulle mine antiuomo.
Viene liberata il 2 luglio 2008 , insieme ad altri 14 ostaggi, Ingrid Betancourt, ex candidata alle presidenziali in Colombia, ostaggio delle Farc per sei anni.