La storia del conflitto

Il 17 luglio 1968, un colpo di stato militare insediò al potere il partito Ba’ath. Fondato negli anni ’40, il partito socialista arabo Ba’ath (risorgimento, in arabo) si ispirò al panarabismo, che considerava l’insieme del mondo arabo come un’unità politica ed economica indivisibile, nella quale nessun paese può essere autosufficiente. I suoi membri affermarono che “il socialismo è una necessità che scaturisce dalla ragione stessa del nazionalismo arabo. Si organizza a livello nazionale (arabo), con direzioni regionali in ciascun paese”.

Baghdad nazionalizzò le imprese straniere e difese l’uso del petrolio come “arma politica nella lotta contro l’imperialismo e il sionismo”. Insistette nella difesa dei prezzi e nel consolidamento dell’OPEC. Fu decretata la riforma agraria e ambiziosi piani di sviluppo portarono a investire le entrate provenienti dal petrolio nell’industrializzazione del paese.
Nel 1970 il governo di Baghdad ufficializzò la lingua curda e concesse al Kurdistan un’autonomia interna. Nonostante ciò, istigati dall’Iran, i capi tradizionali provocarono una sollevazione armata. Nel marzo del 1975 l’accordo Iran-Iraq sulle frontiere li privò del principale appoggio esterno e i ribelli furono sconfitti. Baghdad diede disposizioni per l’insegnamento della lingua curda nelle scuole locali, per l’aumento degli investimenti statali nella regione e la nomina di curdi nell’amministrazione pubblica.
Nel luglio 1979 il presidente Hassan al-Bakr si dimise e fu sostituito dal vicepresidente Saddam Hussein, che cercò di condurre l’Iraq verso il ruolo di guida del mondo arabo.
Hussein rifiutò gli accordi di pace di Camp David sottoscritti da Israele, Egitto e Stati Uniti e peggiorarono anche i rapporti con altri paesi arabi.
Le forze irachene lanciarono, nel settembre del 1980, un attacco a postazioni iraniane, facendo scoppiare una guerra che durò otto anni. L’Occidente sostenne l’Iraq contro il regime fondamentalista dell’ayatollah Khomeini in Iran.
Rifiutando di fissare quote d’esportazione, il Kuwait estraeva dai giacimenti situati sulla frontiera con l’Iraq quantità di petrolio superiori al dovuto. Siccome gli USA lasciarono intendere che sarebbero rimasti neutrali in caso di conflitto, il 2 agosto 1990 l’Iraq invase il Kuwait e prese in ostaggio migliaia di stranieri.
Quattro giorni dopo, l’ONU decise un blocco economico e militare totale fino a che l’Iraq non avesse abbandonato incondizionatamente il territorio occupato. Venne rifiutata una proposta di resa in cambio di una conferenza internazionale per discutere dei problemi del Medio Oriente. Quando l’Iraq cominciò a liberare gli ostaggi e a tentare nuovi negoziati, gli Stati Uniti chiusero la porta al dialogo e pretesero una resa incondizionata.
Il 17 gennaio 1991 un’alleanza di 32 nazioni guidata dagli Stati Uniti lanciò un attacco contro l’Iraq. Quando iniziò l’offensiva di terra, in marzo, Saddam Hussein aveva già annunciato la resa incondizionata. L’esercito iracheno non fece resistenza e cercò semplicemente di organizzare la ritirata, avendo già sofferto molte perdite. La guerra terminò all’inizio di marzo, con la completa sconfitta degli iracheni.
Sul finire dell’offensiva, gli Stati Uniti incoraggiarono la rivolta interna degli sciiti del sud e dei curdi del nord per rovesciare Saddam Hussein. Tuttavia le differenze politiche tra i due gruppi resero impossibile un’alleanza e Washington lasciò che i ribelli fossero schiacciati dall’ancora potente esercito iracheno.
Nella guerra morirono tra le 150.000 e le 200.000 mila persone, per la maggior parte civili. Si calcola che 70.000 iracheni, tra cui 20.000 bambini, morirono a causa delle conseguenze dell’embargo. Alla fine del 1991 sia i turchi, sia gli iracheni continuavano a reprimere militarmente i curdi delle zone di confine.
Alla fine del 1991 il governo iracheno autorizzò la supervisione delle basi militari da parte dell’ONU. Nel 1992 fu provata l’esistenza di un programma di arricchimento di uranio, con l’aiuto tedesco. Le forze dell’ONU distrussero 460 missili di 122 millimetri caricati con il gas velenoso sarin. Furono smantellati anche il complesso nucleare di al-Athir, gli impianti per l’arricchimento di uranio di Ash-Sharqat e Tarmiyah e la fabbrica di armi chimiche di Muthana.
Nel 1994 fu aperto un passaggio sul confine con la Turchia per permettere l’arrivo di alcuni prodotti alimentari e di medicinali autorizzati dall’ONU, uniche eccezioni all’embargo commerciale.
Nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU votò per l’eliminazione parziale del blocco, autorizzando la vendita controllata del greggio per consentire l’acquisto di alimentari e medicinali per la popolazione irachena.
Nell’aprile 1997 un rapporto dell’ONU rivelò che la fame e la mancanza di medicinali dovute all’embargo avevano causato più di un milione di morti, di cui 570.000 erano bambini. L’UNICEF affermò che il 25% dei bambini al di sotto dei cinque anni soffriva di grave denutrizione.
In ottobre il Consiglio di Sicurezza minacciò di applicare nuove sanzioni se non fosse stata autorizzata una nuova ispezione per verificare che il governo iracheno non fosse in condizioni di fabbricare armi chimiche e biologiche. L’Iraq rifiutò la presenza di ispettori statunitensi, il che inasprì la posizione di Clinton, il quale, appoggiato unicamente dal primo ministro britannico Tony Blair, decise di effettuare un attacco missilistico contro alcune città irachene. A partire dal 16 dicembre, la cosiddetta “Operazione Volpe del Deserto” uccise centinaia di iracheni, civili e militari.
Nel dicembre 1999 il Consiglio di Sicurezza approvò, con uno scarso margine di maggioranza, la ripresa delle ispezioni in Iraq e la sospensione delle sanzioni economiche nel caso in cui Baghdad cooperasse. Russia, Francia, Cina e Malaysia si astennero dal voto. L’Iraq, che aveva già annunciato di voler respingere la risoluzione, affermando che si trattava di un tentativo di Washington di imporre la propria volontà “malvagia” sul Consiglio di Sicurezza, si rifiutò di cooperare e chiese l’annullamento delle sanzioni.
Al suo ingresso alla Casa Bianca, nel gennaio 2001 il presidente americano George W. Bush annunciò un inasprimento della politica nei confronti di Baghdad e delle sanzioni economiche. Gli attentati dell’11 settembre posero l’Iraq nel mirino del Pentagono. La popolarità di Saddam Hussein nel mondo arabo era cresciuta a causa del sostegno fornito alla seconda intifada palestinese e con la proposta ai paesi musulmani di sostenere, tramite il controllo dei prezzi del petrolio, le rivendicazioni comuni.
Nel gennaio 2002 nel discorso alla nazione Bush definì l’Iran, l’Iraq e la Corea del Nord “l’asse del male”. Secondo lui, questi tre paesi producevano armi di distruzione di massa e finanziavano il terrorismo internazionale.
In settembre, durante la 57° Assemblea generale delle Nazioni Unite, Bush chiese a uno scettico pubblico di leader mondiali di far fronte alla “grave e crescente minaccia alla pace” rappresentata dal regime iracheno, o di lasciare l’iniziativa agli USA. Il mese seguente, Baghdad concesse agli ispettori ONU per il disarmo di visitare decine di aree considerate sospette. Tuttavia, Gran Bretagna e Stati Uniti non si ritennero soddisfatti e pretesero che il Consiglio di Sicurezza approvasse una nuova risoluzione che autorizzasse gli attacchi militari se l’Iraq non avesse rispettato i termini impostigli.
Sostenuti da una nuova risoluzione ONU, più confacente alle richieste di Stati Uniti e Gran Bretagna, gli ispettori ONU tornarono in Iraq a novembre. Nel loro rapporto di gennaio 2003 non emersero prove dell’esistenza di armi di distruzione di massa.
Anche senza tali prove né una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza che autorizzasse esplicitamente l’uso della forza, Stati Uniti, Gran Bretagna e forze della coalizione lanciarono un attacco contro l’Iraq nel marzo 2003, penetrando nella parte meridionale del paese.
In aprile, le truppe USA entrarono a Baghdad e continuarono ad avanzare verso l’Iraq settentrionale, incontrando forti resistenze soltanto nelle città principali, come Kirkuk e Mosul. Si verificarono numerosi atti di saccheggio, mentre le forze alleate davano la caccia a Saddam Hussein e ad altri 54 leader “ricercatissimi”.
Nel maggio 2003 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sollevò le sanzioni economiche contro l’Iraq. Le forze di occupazione distrussero le istituzioni del partito Ba’ath. Gli Stati Uniti annunciarono la fine delle principali operazioni di guerra.
In luglio si formò il primo Consiglio di governo ad interim, mentre i figli di Saddam, Uday e Qusay, furono trovati uccisi a Mosul. Erano strettamente coinvolti nel regime violento di Saddam.
In ottobre il Consiglio di Sicurezza approvò degli emendamenti alla risoluzione sull’Iraq, affermando che i poteri dovevano essere trasferiti agli iracheni “il più presto possibile”.
Il 14 dicembre fu annunciata la cattura di Saddam Hussein nascosto in un rifugio sotterraneo.
Nel febbraio 2004, mentre gli sciiti a Bassora continuavano a chiedere elezioni generali immediate, Kofi Annan – in linea con la posizione di Washington e in contrasto con la maggioranza sciita – annunciò che la soluzione migliore per l’Iraq sarebbe stata quella di un governo ad interim (a partire dal giugno 2004). Per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, le truppe giapponesi furono spiegate in una zona di conflitto, per aiutare la ricostruzione irachena.
Verso la fine del febbraio 2004, l’Iraq restava in uno stato di caos e incertezza riguardo al proprio futuro. I servizi pubblici non funzionavano, 12 milioni di iracheni erano senza lavoro, il bilancio pubblico mostrava un deficit di 600 milioni di dollari, le truppe di occupazione erano stanche e demoralizzate e gli attacchi da parte della resistenza diventavano sempre più numerosi e violenti. Kofi Annan annunciò durante un incontro con il primo ministro giapponese Junichiro Koizumi che le elezioni in Iraq si sarebbero potute tenere entro la fine del 2004 o gli inizi del 2005.
A fine aprile del 2004 furono pubblicati servizi fotografici e filmati che mostravano torture, maltrattamenti e abusi sessuali inflitti a prigionieri iracheni, nella prigione di Abu Ghraib, vicino a Baghdad.
A fine maggio, Iyad Allawi fu nominato primo ministro dell’Iraq, incarico che avrebbe assunto subito dopo il 30 giugno, data fissata dalle truppe di occupazione per il cambio di governo. Il 1° giugno entrò in carica il nuovo governo provvisorio scelto da Brahimi (inviato dell’ONU) dopo l’autoscioglimento del Consiglio di Governo degli USA. Ghazi Yacer divenne presidente. Il 28 giugno in una cerimonia segreta si realizzò il “passaggio dei poteri”, visto con molte riserve da parte della comunità internazionale.
Il 2 luglio, Saddam Hussein fu portato in giudizio davanti a una corte irachena, con le accuse di genocidio e crimini di guerra.
Dall’inizio dell’occupazione delle truppe straniere, quasi ogni giorno in Iraq avvengono atti di guerriglia che causano la morte di centinaia di persone.
A fine ottobre, secondo uno studio pubblicato nella rivista medica inglese The Lancet, le azioni militari e il clima di violenza avevano causato più di 100.000 morti fra gli iracheni.
Il 30 gennaio 2005, come previsto, si svolsero le prime elezioni nazionali dalla caduta di Saddam, con un’affluenza alle urne del 58% (i sunniti invitarono al boicottaggio del voto). L’Alleanza Unita Irachena (AUI), guidata dallo sciita Al Sistani, ottenne il 48% dei voti, il 25,4% andò alla Lista dei Kurdi Uniti (LKU) e il 14% alla lista del premier Allawi.
All’inizio di aprile il parlamento elesse una presidenza tripartita: Jalal Talabani, curdo, conduce provvisoriamente il Consiglio di presidenza, formato anche da Ghazi Yacer, sunnita, e dallo sciita Adel Abdul Mahdi. Il leader sciita Ibrahim Jaafari viene designato primo ministro. Il 3 maggio, a Baghdad, il nuovo governo provvisorio iracheno, uscito dalle elezioni di gennaio, ha prestato solenne giuramento. Nell’agosto una bozza di Costituzione fu approvata dai deputati curdi e sciiti, ma non dai sanniti. In ottobre Saddam Hussein fu accusato di crimini contro l’umanità.
Con le elezioni generali del dicembre 2005 gli iracheni scelsero il loro primo governo non interinale dall’inizio dell’invasione.
Nel novembre 2006 Saddam Hussein fu condannato a morte. La mattina del 30 dicembre fu impiccato in segreto davanti a pochi testimoni.
Nel 2007 si chiude con una diminuzione del numero di attacchi e, di conseguenza, delle vittime civili, ma comunque nell’anno si raggiunge il numero di 20.000. Il paese risulta ancora fuori controllo, mentre continua la fuga di coloro che riescono ad abbandonare il paese.
La situazione fluida continua anche nel 2008. Il 29 febbraio viene rapito ed ucciso poco dopo monsignor Rahho, vescovo caldeo di Mosul.
Il 1° luglio 2009 le truppe Usa, in Iraq dal 2003 lasciano progressivamente il controllo del territorio alle truppe regolari irachene. Il ritiro dell’esercito americano, dopo cinque anni, avviene in un momento di preoccupante recrudescenza di attentati nel Paese. Sono ancora 131 mila i soldati americani presenti in Iraq, il cui numero continuerà a diminuire nel corso dell’anno. Ne resteranno comunque un numero congruo per il prossimo gennaio, per garantire «che le elezioni parlamentari del prossimo gennaio sia coronate dal successo» ha detto il capo dell’esercito Usa a Baghdad. Il calendario prevede che il ritiro definitivo delle truppe americane dall’Iraq sia completato entro il 2011.

Il numero totale di morti dall’inizio del conflitto è stimato su valori compresi tra 151.000 e 155.000 persone. La componente civile di questo totale oscilla tra un minimo di 91.121 persone e un massimo di 99.500.

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