La strage del silenzio

La situazione in molte zone della Repubblica Democratica del Congo rimane tragica (Regno-att. 18,2002,00). Le truppe armate appartenenti a schieramenti politico-militari interni o appoggiati da Ruanda e Uganda, compiono impunemente e quotidianamente uccisioni tra la popolazione civile e depredano le risorse minerarie, così come ribadito dal Rapporto finale della Commissione ONU sullo sfruttamento illegale delle risorse del paese, presentato al Consiglio di sicurezza il 24 ottobre scorso. Tuttavia la comunità internazionale appare poco sensibile al dramma dell’ex Zaire. Per questo le congregazioni missionarie presenti nella zona – sacerdoti del sacro cuore di Gesù, missionari saveriani, comboniani, missionari della Consolata, padri Bianchi – hanno indirizzato un appello, datato 23 ottobre ai capi di stato, alle istituzioni europee: “Profondamente scossi da queste notizie, e sentendo come congregazioni missionarie che la causa dell’Africa è la nostra causa, ci rivolgiamo a quanti possono fare qualcosa chiedendovi un intervento adeguato alla gravità della situazione a favore della popolazione civile, che ingiustamente soffre atti di ogni genere di atrocità”.

 
Le congregazioni chiedono l’assistenza immediata della Croce rossa internazionale; l’utilizzo di tutti mezzi possibili per garantire l’attuazione dei recenti accordi di pace; la mobilitazione il rafforzamento della Missione dell’ONU nella Repubblica democratica del Congo (MONUC), troppo spesso impotente anche nei casi di estrema emergenza; inoltre viene chiesto aiuto per la gestione di enormi masse di rifugiati prive di qualsiasi assistenza, perché possano tornare alle loro case e vivere degnamente. Ai capi militari della zona chiedono di liberare le donne rapite e ridotte in schiavitù e mettere ordine nelle proprie truppe.
 
Ecco alcuni dei più gravi e recenti avvenimenti. Il 6 agosto scorso, le milizie della tribù bahema, appoggiate dagli ugandesi, hanno conquistato la città di Bunia; ci sono state centinaia di morti fra i civili; i soldati di Nyamwisi (“presidente” di questa zona del Congo) sono stati cacciati. La sede del governatorato è stata bombardata e il governatore è fuggito a Geti (vicino a Monte Hoyo). I soldati di Nyamwisi si sono ritirati a Komanda, a circa 80 km a ovest di Bunia, mentre il governatore ha trovato scampo a Geti presso la tribù bangiti (che è in lotta con i bahema e i bagheghere).
 
L’11 agosto 2002, il governatore, accompagnato da più di un migliaio di guerrieri bangiti è arrivato a Komanda. Sembra che il governatore e i soldati di Nyamwisi abbiano cercato d’impedire lo scontro fra i bangiti e i bahema di Komanda. Ma il giorno successivo, il governatore è partito per Beni (direzione sud) e a Komanda i bangiti hanno cominciato a dare la caccia a tutti i bahema e i bagheghere per ucciderli secondo antichi e crudeli costumi tribali. Con machete, scuri e lance, teste sono state tagliate e infisse su pali, cadaveri gettati nelle fosse, corpi sventrati, per cibarsi del loro cuore e del fegato, famiglie intere rinchiuse nelle capanne e bruciate, centinaia i morti. Infine il solito saccheggio generalizzato.
 
A migliaia gli abitanti superstiti si sono diretti verso Beni e verso Mambasa, città posta presso un crocevia strategico tra la provincia orientale e Kisangani, tra il Nord e il Sud e verso il confine con l’Uganda e il Ruanda. A Mambasa si trova anche un’importante missione dei padri dehoniani.
 
Il 16 agosto, finito il saccheggio e la distruzione, i bangiti si sono ritirati. I soldati di Nyamwisi, da Komanda si sono diretti verso Bunia per riconquistarla e razziare il bestiame dei bahema nei pressi di Irumu. Saputo ciò, i bahema di Bunia, sostenuti dai mezzi blindati degli ugandesi, sono passati al contrattacco e sono arrivati fino a Komanda: lì hanno iniziato a minacciare gli abitanti rimasti nella città perché ritenuti complici dei bangiti.
 
Così è cominciata la seconda grande fuga verso Beni e Mambasa. I soldati di Nyamwisi hanno trasformato il viaggio già penoso di migliaia di mamme e bambini in un calvario: i pochi beni che i fuggiaschi erano riusciti a portare con sé sono stati depredati dai soldati. Secondo testimoni, circa 15.000 profughi si sono diretti verso Sud (Eringheti, Oicha, Beni.) e oltre 2.000 verso Mambasa.
 
Il 24 agosto, a Mambasa sono arrivati più di mille rifugiati, accolti dalla missione dei dehoniani: molti sono i bambini, gli adulti sono malati, stremati dalla fatica e traumatizzati dai i massacri cui hanno assistito.
 
L’8 settembre 2002 parte l’offensiva dei soldati di Roger Lumbala, presidente di Isiro (Wamba) e appartenente all’Esercito di liberazione del Congo, che a sua volta fa capo a Jean Pierre Bemba leader del Movimento di liberazione del Congo, che ha sede a Isiro, per conquistare Mambasa. La città era sotto il controllo dell’Unione congolese per la democrazia, la cui centrale è a Beni, governata sul luogo dall’Esercito popolare del Congo. Il 15 settembre Lumbala e i suoi uomini sono a 70 km da Mambasa; i rifugiati sono circa 2.600. Il 12 ottobre 2002, Mambasa cade nelle mani di Lumbala. Tutte le case vengono saccheggiate, così come la scuola e la missione dehoniana, unico riparo per i rifugiati: è questa la moneta con cui ogni esercito viene pagato. I soldati rapiscono anche delle donne.
 
Il 30 ottobre 2002, i militari dell’Esercito popolare del Congo hanno ripreso il controllo di Mambasa, ma è noto che l’Esercito di liberazione del Congo si sta riorganizzando per riconquistare la città.
 
Il fronte della guerra è tra Mambasa e Beni, per cui la missione dehoniana non può più avere rifornimenti via terra dalla zona di Butembo. L’unica possibilità resta l’aereo (a 5 km da Mambasa c’è una pista d’atterraggio ancora efficiente), ma la missione, da sola, non riesce ad affrontare questa nuova e tragica situazione. Mambasa, all’incrocio d’importanti vie di comunicazione, è luogo di accoglienza per molti rifugiati. La missione cattolica ha accolto anche 5.500 rifugiati, mentre ora ve ne sono 2.500. Si è cercato di dare loro della terra e degli attrezzi per lavorarla; il problema più urgente è però quello degli aiuti alimentari, perché la missione ha ormai esaurito tutte le riserve.
 
Gli avvenimenti di Mambasa ripetono quelli avvenuti a Kivu, a Isiro, a Wamba a Munghere e forse altri che verranno. “Quello che ci addolora – dicono i padri dehoniani presenti in loco – “è che la comunità internazionale non venga informata, e più ancora ci addolora l’incomprensibile insensibilità delle potenze mondiali, che, conoscendo i fatti, non tentano alcun rimedio”.
 
articolo tratto da “Il Regno”