Pio XI (1922-1939)


Quadragesimo anno (15 maggio 1931)

 
(§ 22) «Che più? Dopo l’immane guerra, quando i governanti delle nazioni principali, al fine di reintegrare una vera e stabile pace con un totale riassetto delle condizioni sociali, ebbero sancito fra le altre norme allora stabilite quelle che dovevano regolare secondo equità e giustizia il lavoro degli operai, tra quelle norme non ne ammisero forse molte, così concordanti coi principi e i moniti Leoniani, da sembrare di proposito dedotte da quelli? E veramente l’enciclica Rerum novarum resta un monumento memorando a cui si possono applicare con diritto le parole di Isaia: Alzerà un vessillo alle nazioni (Is 11, 12)».
 
(§ 57) «Certo, ad impedire che con queste false teorie non si chiudesse l’adito alla giustizia e alla pace tanto per il capitale quanto per il lavoro, avrebbero dovuto giovare le sapienti parole del Nostro Predecessore, che cioè la terra, sebbene divisa tra i privati, resta nondimeno a servizio e utilità di tutti, (enc. Rerum novarum, n. 7). E ciò stesso Noi pure abbiamo insegnato poc’anzi nel riaffermare che la spartizione dei beni in private proprietà è stabilita dalla natura stessa, affinché le cose create possano dare agli uomini tale comune utilità stabilmente e con ordine. Il che conviene tenere di continuo presente, se non si vuole uscire dal retto sentiero della verità».
 
(§ 75) «Chi non sa infatti che la troppa tenuità e la soverchia altezza dei salari è stata la cagione per la quale gli operai non potessero aver lavorato? Il quale inconveniente, riscontratosi specialmente nei tempi del Nostro Pontificato in danno di molti, gettò gli operai nella miseria e nelle tentazioni, mandò in rovina la prosperità delle città e mise in pericolo la pace e la tranquillità di tutto il mondo. È contrario dunque alla giustizia sociale che, per badare al proprio vantaggio senza aver riguardo al bene comune, il salario degli operai venga troppo abbassato o troppo innalzato; e la medesima giustizia richiede che, nel consenso delle menti e delle volontà, per quanto è possibile, il salario venga temperato in maniera che a quanti più è possibile, sia dato di prestare l’opera loro e percepire i frutti convenienti per il sostentamento della vita».
 
(§ 114) «La lotta di classe, infatti, quando si astenga dagli atti di inimicizia e dall’odio vicendevole, si trasforma a poco a poco in una onesta discussione, fondata nella ricerca della giustizia: discussione che non è certo quella felice pace sociale che tutti vagheggiano, ma che può e deve essere un punto di partenza per giungere alla mutua cooperazione delle classi. Così anche la guerra dichiarata alla proprietà privata si viene sempre più calmando e restringendosi a tal segno, che alla fine non viene più assalita in sé la proprietà dei mezzi di produzione, ma una certa egemonia sociale, che la proprietà contro ogni diritto si è arrogata e usurpata. E infatti tale supremazia non deve essere propria dei semplici padroni, ma del pubblico potere. Con ciò si può giungere insensibilmente fino al punto che le massime del socialismo più moderato non discordino più dai voti e dalle rivendicazioni di coloro che, fondati sui principi cristiani, si studiano di riformare la società umana. E in verità si può ben sostenere, a ragione, esservi certe categorie di beni da riservarsi solo ai pubblici poteri, quando portano seco una tale preponderanza economica, che non si possa lasciare in mano ai privati cittadini senza pericolo del bene comune».