Sollicitudo rei socialis (Giovanni Paolo II – 1987) / Capitolo VI

 
CAPITOLO VI
 
ALCUNI ORIENTAMENTI PARTICOLARI
 
41. La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire al problema del sottosviluppo in quanto tale, come affermò già Papa Paolo VI nella sua Enciclica. (69) Essa, infatti, non propone sistemi o programmi economici e politici, né manifesta preferenze per gli uni o per gli altri, purché la dignità dell’uomo sia debitamente rispettata e promossa ed a lei stessa sia lasciato lo spazio necessario per esercitare il suo ministero nel mondo. Ma la Chiesa è «esperta in umanità», (70) e ciò la spinge a estendere necessariamente la sua missione religiosa ai diversi campi in cui uomini e donne dispiegano le loro attività, in cerca della felicità, pur sempre relativa, che è possibile in questo mondo, in linea con la loro dignità di persone. Sull’esempio dei miei predecessori, debbo ripetere che non può ridursi a problema «tecnico» ciò che, come lo sviluppo autentico, tocca la dignità dell’uomo e dei popoli. Così ridotto, lo sviluppo sarebbe svuotato del suo vero contenuto e si compirebbe un atto di tradimento verso l’uomo e i popoli, al cui servizio esso deve essere messo. Ecco perché la Chiesa ha una parola da dire oggi, come venti anni fa, ed anche in futuro, intorno alla natura, alle condizioni, esigenze e finalità dell’autentico sviluppo ed agli ostacoli, altresì, che vi si oppongono. Così facendo, la Chiesa adempie la missione di evangelizzare, poiché dà il suo primo contributo alla soluzione dell’urgente problema dello sviluppo, quando proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull’uomo, applicandola a una situazione concreta. (71)
 
Quale strumento per raggiungere lo scopo, la Chiesa adopera la sua dottrina sociale. Nell’odierna difficile congiuntura, per favorire sia la corretta impostazione dei problemi che la loro migliore soluzione, potrà essere di grande aiuto una conoscenza più esatta e una diffusione più ampia dell’«insieme dei principi di riflessione, dei criteri di giudizio e delle direttrici di azione» proposti dal suo insegnamento. (72) Si avvertirà così immediatamente che le questioni che ci stanno di fronte sono innanzitutto morali. e che né l’analisi del problema dello sviluppo in quanto tale, ne i mezzi per superare le presenti difficoltà possono prescindere da tale essenziale dimensione. La dottrina sociale della Chiesa non è una «terza via» tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure un’ideologia, ma l’accurata formulazione dei risultati di un’attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell’ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale.
 
L’insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi di una dottrina indirizzata a guidare la condotta delle persone, ne deriva di conseguenza l’«impegno per la giustizia» secondo il ruolo, la vocazione, le condizioni di ciascuno. All’esercizio del ministero dell’evangelizzazione in campo sociale, che è un aspetto della funzione profetica della Chiesa, appartiene pure la denuncia dei mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire che l’annuncio è sempre più importante della denuncia, e questa non può prescindere da quello, che le offre la vera solidità e la forza della motivazione più alta.
 
42. La dottrina sociale della Chiesa, oggi più di prima, ha il dovere di aprirsi a una prospettiva internazionale in linea col Concilio Vaticano II, (73) con le più recenti Encicliche (74) e, in particolare, con quella che stiamo ricordando. (75) Non sarà, pertanto, superfluo riesaminarne e approfondirne sotto questa luce i temi e gli orientamenti caratteristici, ripresi dal Magistero in questi anni. Desidero qui segnalarne uno: l’opzione, o amore preferenziale per i poveri. É, questa, una opzione, o una forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l’uso dei beni. Oggi poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, (76) questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si può non prendere atto dell’esistenza di queste realtà. L’ignorarle significherebbe assimilarci al «ricco epulone», che fingeva di non conoscere Lazzaro il mendico, giacente fuori della sua porta (77) (Lc16,19).
 
La nostra vita quotidiana deve essere segnata da queste realtà, come pure le nostre decisioni in campo politico ed economico. Parimenti i responsabili delle Nazioni e degli stessi Organismi internazionali, mentre hanno l’obbligo di tener sempre presente come prioritaria nei loro piani la vera dimensione umana, non devono dimenticare di dare la precedenza al fenomeno della crescente povertà. Purtroppo, invece di diminuire, i poveri si moltiplicano non solo nei Paesi meno sviluppati, ma, ciò che appare non meno scandaloso, anche in quelli maggiormente sviluppati.
 
Bisogna ricordare ancora una volta il principio tipico della dottrina sociale cristiana: i beni di questo mondo sono originariamente destinati a tutti. (78) Il diritto alla proprietà privata è valido e necessario, ma non annulla il valore di tale principio: su di essa, infatti, grava «un’ipoteca sociale», (79) cioè vi si riconosce, come qualità intrinseca, una funzione sociale, fondata e giustificata precisamente sul principio della destinazione universale dei beni. Né sarà da trascurare, in questo impegno per i poveri, quella speciale forma di povertà che è la privazione dei diritti fondamentali della persona, in particolare del diritto alla libertà religiosa e del diritto, altresì, all’iniziativa economica.
 
43. La preoccupazione stimolante verso i poveri – i quali, secondo la significativa formula, sono «i poveri del Signore» (80) – deve tradursi, a tutti i livelli, in atti concreti fino a giungere con decisione a una serie di necessarie riforme. Dipende dalle singole situazioni locali individuare le più urgenti ed i modi per realizzarle; ma non bisogna dimenticare quelle richieste dalla situazione di squilibrio internazionale, sopra descritto. Al riguardo, desidero ricordare in particolare: la riforma del sistema internazionale di commercio, ipotecato dal protezionismo e dal crescente bilateralismo; la riforma del sistema monetario e finanziario mondiale, oggi riconosciuto insufficiente; la questione degli scambi delle tecnologie e del loro uso appropriato; la necessità di una revisione della struttura delle Organizzazioni internazionali esistenti, nella cornice di un ordine giuridico internazionale. Il sistema internazionale di commercio oggi discrimina frequentemente i prodotti delle industrie incipienti dei Paesi in via di sviluppo, mentre scoraggia i produttori di materie prime. Esiste, peraltro, una sorta di divisione internazionale del lavoro, per cui i prodotti a basso costo di alcuni Paesi, privi di leggi efficaci sul lavoro o troppo deboli per applicarle, sono venduti in altre parti del mondo con considerevoli guadagni per le imprese dedite a questo tipo di produzione, che non conosce frontiere. Il sistema monetario e finanziario mondiale si caratterizza per l’eccessiva fluttuazione dei metodi di scambio e di interesse, a detrimento della bilancia dei pagamenti e della situazione di indebitamento dei Paesi poveri. Le tecnologie e i loro trasferimenti costituiscono oggi uno dei principali problemi dell’interscambio internazionale e dei gravi danni, che ne derivano. Non sono rari i casi di Paesi in via di sviluppo, a cui si negano le tecnologie necessarie o si inviano quelle inutili. Le Organizzazioni internazionali, secondo l’opinione di molti, sembrano trovarsi a un momento della loro esistenza, in cui i meccanismi di funzionamento, i costi operativi e la loro efficacia richiedono un attento riesame ed eventuali correzioni. Evidentemente, un processo così delicato non si potrà ottenere senza la collaborazione di tutti. Esso suppone il superamento delle rivalità politiche e la rinuncia ad ogni volontà di strumentalizzare le stesse Organizzazioni, che hanno per unica ragion d’essere il bene comune. Le Istituzioni e le Organizzazioni esistenti hanno operato bene a favore dei popoli. Tuttavia l’umanità, di fronte a una fase nuova e più difficile dei suo autentico sviluppo, ha oggi bisogno di un grado superiore di ordinamento internazionale, a servizio delle società, delle economie e delle culture del mondo intero.
 
44. Lo sviluppo richiede soprattutto spirito d’iniziativa da parte degli stessi Paesi che ne hanno bisogno. (81) Ciascuno di essi deve agire secondo le proprie responsabilità, senza sperare tutto dai Paesi più favoriti ed operando in collaborazione con gli altri che sono nella stessa situazione. Ciascuno deve scoprire e utilizzare il più possibile lo spazio della propria libertà. Ciascuno dovrà rendersi capace di iniziative rispondenti alle proprie esigenze di società. Ciascuno dovrà pure rendersi conto delle reali necessità, nonché dei diritti e dei doveri che gli impongono di risolverle. Lo sviluppo dei popoli inizia e trova l’attuazione più adeguata nell’impegno di ciascun popolo per il proprio sviluppo, in collaborazione con gli altri. É importante allora che le stesse Nazioni in via di sviluppo favoriscano l’autoaffermazione di ogni cittadino mediante l’accesso a una maggiore cultura ed a una libera circolazione delle informazioni. Tutto quanto potrà favorire l’alfabetizzazione e l’educazione di base che l’approfondisce e completa, come proponeva l’Enciclica Populorum Progressio (82) – mete ancora lontane dall’attuazione in tante parti del mondo – è un diretto contributo al vero sviluppo. Per incamminarsi su questa via, le stesse Nazioni dovranno individuare le proprie priorità e riconoscer bene i propri bisogni secondo le particolari condizioni della popolazione, dell’ambiente geografico e delle tradizioni culturali. Alcune Nazioni dovranno incrementare la produzione alimentare, per aver sempre a disposizione il necessario al nutrimento e alla vita. Nel mondo contemporaneo – in cui la fame miete tante vittime, specie in mezzo all’infanzia – ci sono esempi di Nazioni non particolarmente sviluppate, che pure sono riuscite a conseguire l’obiettivo dell’autosufficienza alimentare e a divenire perfino esportatrici di generi alimentari.
 
Altre Nazioni hanno bisogno di riformare alcune ingiuste strutture e, in particolare, le proprie istituzioni politiche, per sostituire regimi corrotti, dittatoriali o autoritari con quelli democratici e partecipativi. É un processo che ci auguriamo si estenda e si consolidi, perché la «salute» di una comunità politica – in quanto si esprime mediante la libera partecipazione e responsabilità di tutti i cittadini alla cosa pubblica, la sicurezza del diritto, il rispetto e la promozione dei diritti umani – è condizione necessaria e garanzia sicura di sviluppo di «tutto l’uomo e di tutti gli uomini».
 
45. Quanto si è detto non si potrà realizzare senza la collaborazione di tutti specialmente della comunità internazionale, nel quadro di una solidarietà che abbracci tutti, a cominciare dai più emarginati. Ma le stesse Nazioni in via di sviluppo hanno il dovere di praticare la solidarietà fra se stesse e con i Paesi più emarginati del mondo. É desiderabile, per esempio, che Nazioni di una stessa area geografica stabiliscano forme di cooperazione che le rendano meno dipendenti da produttori più potenti. aprano le frontiere ai prodotti della zona. esaminino le eventuali complementarità dei prodotti. si associno per dotarsi dei servizi, che ciascuna da sola non è in grado di provvedere. estendano la cooperazione al settore monetario e finanziario. L’interdipendenza è già una realtà in molti di questi Paesi. Riconoscerla, in maniera da renderla più attiva, rappresenta un’alternativa all’eccessiva dipendenza da Paesi più ricchi e potenti, nell’ordine stesso dell’auspicato sviluppo, senza contrapporsi a nessuno, ma scoprendo e valorizzando al massimo le proprie possibilità. I Paesi in via di sviluppo di una stessa area geografica, anzitutto quelli compresi nella denominazione «Sud», possono e debbono costituire – come già si comincia a fare con promettenti risultati – nuove organizzazioni regionali, ispirate a criteri di eguaglianza, libertà e partecipazione nel concerto delle Nazioni. La solidarietà universale richiede, come condizione indispensabile, autonomia e libera disponibilità di se stessi, anche all’interno di associazioni come quelle indicate. Ma, nello stesso tempo, richiede disponibilità ad accettare i sacrifici necessari per il bene della comunità mondiale.

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