2001 – Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore e della Pace/2


Potenzialità e rischi della comunicazione globale

 
11. Il dialogo tra le culture appare oggi particolarmente necessario, se si considera l’impatto delle nuove tecnologie della comunicazione sulla vita delle persone e dei popoli. Siamo nell’era della comunicazione globale, che sta plasmando la società secondo nuovi modelli culturali, più o meno estranei ai modelli del passato. L’informazione accurata e aggiornata è, almeno in linea di principio, praticamente accessibile a chiunque, in qualsiasi parte del mondo.
 
Il libero flusso delle immagini e delle parole su scala mondiale sta trasformando non solo le relazioni tra i popoli a livello politico ed economico, ma la stessa comprensione del mondo. Questo fenomeno offre molteplici potenzialità un tempo insperate, ma presenta anche alcuni aspetti negativi e pericolosi. Il fatto che un ristretto numero di Paesi detenga il monopolio delle « industrie » culturali, distribuendone i prodotti in ogni angolo della terra ad un pubblico sempre crescente, può costituire un potente fattore d’erosione delle specificità culturali. Sono prodotti che contengono e trasmettono sistemi impliciti di valore e pertanto possono provocare effetti di espropriazione e di perdita di identità nei recettori.
 
La sfida delle migrazioni
 
12. Lo stile e la cultura del dialogo sono particolarmente significativi rispetto alla complessa problematica delle migrazioni, rilevante fenomeno sociale del nostro tempo. L’esodo di grandi masse da una regione all’altra del pianeta, che costituisce sovente una drammatica odissea umana per quanti vi sono coinvolti, ha come conseguenza la mescolanza di tradizioni e di usi differenti, con ripercussioni notevoli nei Paesi di origine ed in quelli di arrivo. L’accoglienza riservata ai migranti da parte dei Paesi che li ricevono e la loro capacità di integrarsi nel nuovo ambiente umano rappresentano altrettanti metri di valutazione della qualità del dialogo tra le differenti culture.
 
In realtà, sul tema dell’integrazione culturale, tanto dibattuto al giorno d’oggi, non è facile individuare assetti e ordinamenti che garantiscano, in modo equilibrato ed equo, i diritti e i doveri tanto di chi accoglie quanto di chi viene accolto. Storicamente, i processi migratori sono avvenuti nei modi più diversi e con esiti disparati. Sono molte le civiltà che si sono sviluppate e arricchite proprio per gli apporti dati dall’immigrazione. In altri casi, le diversità culturali di autoctoni e immigrati non si sono integrate, ma hanno mostrato la capacità di convivere, attraverso una prassi di rispetto reciproco delle persone e di accettazione o tolleranza dei differenti costumi. Purtroppo persistono anche situazioni in cui le difficoltà dell’incontro tra le diverse culture non si sono mai risolte e le tensioni sono diventate cause di periodici conflitti.
 
13. In una materia così complessa, non ci sono formule « magiche »; è tuttavia doveroso individuare alcuni principi etici di fondo a cui fare riferimento. Primo fra tutti, è da ricordare il principio secondo cui gli immigrati vanno sempre trattati con il rispetto dovuto alla dignità di ciascuna persona umana. A questo principio deve piegarsi la pur doverosa valutazione del bene comune, quando si tratta di disciplinare i flussi immigratori. Si tratterà allora di coniugare l’accoglienza che si deve a tutti gli esseri umani, specie se indigenti, con la valutazione delle condizioni indispensabili per una vita dignitosa e pacifica per gli abitanti originari e per quelli sopraggiunti. Quanto alle istanze culturali di cui gli immigrati sono portatori, nella misura in cui non si pongono in antitesi ai valori etici universali, insiti nella legge naturale, ed ai diritti umani fondamentali, vanno rispettate e accolte.
 
Rispetto delle culture
e « fisionomia culturale » del territorio
 
14. Più difficile è determinare dove arrivi il diritto degli immigrati al riconoscimento giuridico pubblico di loro specifiche espressioni culturali, che non facilmente si compongano con i costumi della maggioranza dei cittadini. La soluzione di questo problema, nel quadro di una sostanziale apertura, è legata alla concreta valutazione del bene comune in un dato momento storico e in una data situazione territoriale e sociale. Molto dipende dall’affermarsi negli animi di una cultura dell’accoglienza che, senza cedere all’indifferentismo circa i valori, sappia mettere insieme le ragioni dell’identità e quelle del dialogo.
 
D’altra parte, come poc’anzi ho rilevato, non si può sottovalutare l’importanza che la cultura caratteristica di un territorio possiede per la crescita equilibrata, specie nell’età evolutiva più delicata, di coloro che vi appartengono fin dalla nascita. Da questo punto di vista, può ritenersi un orientamento plausibile quello di garantire a un determinato territorio un certo « equilibrio culturale », in rapporto alla cultura che lo ha prevalentemente segnato; un equilibrio che, pur nell’apertura alle minoranze e nel rispetto dei loro diritti fondamentali, consenta la permanenza e lo sviluppo di una determinata « fisionomia culturale », ossia di quel patrimonio fondamentale di lingua, tradizioni e valori che si legano generalmente all’esperienza della nazione e al senso della « patria ».
 
15. E evidente però che questa esigenza di « equilibrio », rispetto alla « fisionomia culturale » di un territorio, non può essere soddisfatta con puri strumenti legislativi, giacché questi non avrebbero efficacia se privi di fondamento nell’ethos della popolazione, e sarebbero oltre tutto naturalmente destinati a cambiare, quando una cultura perdesse di fatto la capacità di animare un popolo e un territorio, diventando una semplice eredità custodita in musei o monumenti artistici e letterari.
 
In realtà, una cultura, nella misura in cui è veramente vitale, non ha motivo di temere di essere sopraffatta, mentre nessuna legge potrebbe tenerla in vita quando fosse morta negli animi. Nella prospettiva poi del dialogo tra le culture, non si può impedire all’uno di proporre all’altro i valori in cui crede, purché ciò avvenga in modo rispettoso della libertà e della coscienza delle persone. « La verità non si impone che in forza della verità stessa, la quale penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore ».(8)
 
La consapevolezza dei valori comuni
 
16. Il dialogo tra le culture, strumento privilegiato per costruire la civiltà dell’amore, poggia sulla consapevolezza che vi sono valori comuni ad ogni cultura, perché radicati nella natura della persona. In tali valori l’umanità esprime i suoi tratti più veri e qualificanti. Lasciandosi alle spalle riserve ideologiche ed egoismi di parte, occorre coltivare negli animi la consapevolezza di questi valori, per alimentare quell’humus culturale di natura universale che rende possibile lo sviluppo fecondo di un dialogo costruttivo. Anche le differenti religioni possono e devono portare un contributo decisivo in questo senso. L’esperienza da me tante volte compiuta nell’incontro con rappresentanti di altre religioni — ricordo in particolare l’incontro di Assisi del 1986 e quello in Piazza san Pietro del 1999 — mi conferma nella fiducia che dalla reciproca apertura degli aderenti alle diverse religioni grandi benefici possono derivare alla causa della pace e del bene comune dell’umanità.
 
Il valore della solidarietà
 
17. Di fronte alle crescenti disuguaglianze presenti nel mondo, il primo valore di cui promuovere una consapevolezza sempre più diffusa è certamente quello della solidarietà. Ogni società si regge sulla base del rapporto originario delle persone tra loro, modulato in cerchi relazionali sempre più ampi — dalla famiglia agli altri gruppi sociali intermedi — fino a quello dell’intera società civile e della comunità statale. A loro volta gli Stati non possono fare a meno di entrare in rapporto tra loro: la presente situazione di interdipendenza planetaria aiuta a meglio percepire la comunanza di destino dell’intera famiglia umana, favorendo in tutte le persone pensose la stima per la virtù della solidarietà.
 
A tale proposito, occorre tuttavia rilevare che la crescente interdipendenza ha contribuito a mettere in luce molteplici disparità, come lo squilibrio tra Paesi ricchi e Paesi poveri; la frattura sociale, all’interno di ciascun Paese, tra chi vive nell’opulenza e chi è leso nella sua dignità, perché manca anche del necessario; il degrado ambientale e umano, provocato ed accelerato dall’uso irresponsabile delle risorse naturali. Tali disuguaglianze e sperequazioni sociali sono andate in alcuni casi aumentando, fino a portare i Paesi più poveri ad una inarrestabile deriva.
 
Al cuore di un’autentica cultura della solidarietà si pone, pertanto, la promozione della giustizia. Non si tratta solo di dare il superfluo a chi è nel bisogno, ma di « aiutare interi popoli, che ne sono esclusi o emarginati, a entrare nel circuito dello sviluppo economico e umano. Ciò sarà possibile non solo attingendo al superfluo, che il nostro mondo produce in abbondanza, ma soprattutto cambiando gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società ».(9)
 
Il valore della pace
 
18. La cultura della solidarietà è strettamente collegata con il valore della pace, obiettivo primario di ogni società e della convivenza nazionale e internazionale. Nel cammino verso una migliore intesa tra i popoli, tuttavia, numerose sono ancora le sfide che il mondo deve affrontare: esse mettono tutti di fronte a scelte improcrastinabili. La preoccupante crescita degli armamenti, mentre stenta a consolidarsi l’impegno per la non proliferazione delle armi nucleari, rischia di alimentare e di diffondere una cultura della competizione e della conflittualità, che non coinvolge soltanto gli Stati, ma anche entità non istituzionali, come gruppi paramilitari e organizzazioni terroristiche.
 
Il mondo si trova tuttora alle prese con le conseguenze di guerre passate e presenti, con le tragedie provocate dall’uso delle mine anti-uomo e dal ricorso alle orribili armi chimiche e biologiche. E che dire del permanente rischio di conflitti tra nazioni, di guerre civili all’interno di vari Stati e di una violenza diffusa, che le organizzazioni internazionali e i governi nazionali si rivelano quasi impotenti a fronteggiare? Dinanzi a simili minacce, tutti devono sentire il dovere morale di operare scelte concrete e tempestive, per promuovere la causa della pace e della comprensione tra gli uomini.
 
Il valore della vita
 
19. Un autentico dialogo tra le culture, oltre al sentimento del rispetto reciproco, non può non alimentare una viva sensibilità per il valore della vita. La vita umana non può essere vista come oggetto di cui disporre arbitrariamente, ma come la realtà più sacra e intangibile che sia presente sulla scena del mondo. Non ci può essere pace quando viene meno la salvaguardia di questo fondamentale bene. Non si può invocare la pace e disprezzare la vita. Il nostro tempo conosce luminosi esempi di generosità e di dedizione a servizio della vita, ma anche il triste scenario di centinaia di milioni di uomini consegnati dalla crudeltà o dall’indifferenza ad un destino doloroso e brutale. Si tratta di una tragica spirale di morte che comprende omicidi, suicidi, aborti, eutanasia, come pure le pratiche di mutilazione, le torture fisiche e psicologiche, le forme di coercizione ingiusta, l’imprigionamento arbitrario, il ricorso tutt’altro che necessario alla pena di morte, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, la compra-vendita di donne e bambini. A tale lista vanno aggiunte irresponsabili pratiche di ingegneria genetica, quali la clonazione e l’utilizzo di embrioni umani per la ricerca, a cui si vuole dare una giustificazione con un illegittimo riferimento alla libertà, al progresso della cultura, alla promozione dello sviluppo umano.
 
Quando i soggetti più fragili e indifesi della società subiscono tali atrocità, la stessa nozione di famiglia umana, basata sui valori della persona, della fiducia e del reciproco rispetto e aiuto, viene ad essere gravemente intaccata. Una civiltà basata sull’amore e sulla pace deve opporsi a queste sperimentazioni indegne dell’uomo.
 
Il valore dell’educazione
 
20. Per costruire la civiltà dell’amore, il dialogo tra le culture deve tendere al superamento di ogni egoismo etnocentrico per coniugare l’attenzione alla propria identità con la comprensione degli altri ed il rispetto della diversità. Si rivela fondamentale, a questo riguardo, la responsabilità dell’educazione. Essa deve trasmettere ai soggetti consapevolezza delle proprie radici e fornire punti di riferimento che consentano di definire la propria personale collocazione nel mondo. Deve al tempo stesso impegnarsi ad insegnare il rispetto per le altre culture. Occorre guardare oltre l’esperienza individuale immediata e accettare le differenze, scoprendo la ricchezza della storia degli altri e dei loro valori.
 
La conoscenza delle altre culture, compiuta con il dovuto senso critico e con solidi punti di riferimento etico, conduce ad una maggiore consapevolezza dei valori e dei limiti insiti nella propria e rivela, al tempo stesso, l’esistenza di un’eredità comune a tutto il genere umano. Proprio in virtù di questo allargamento di orizzonti, l’educazione ha una particolare funzione nella costruzione di un mondo più solidale e pacifico. Essa può contribuire all’affermazione di quell’umanesimo integrale, aperto alla dimensione etica e religiosa, che sa attribuire la dovuta importanza alla conoscenza e alla stima delle culture e dei valori spirituali delle varie civiltà.
 
Il perdono e la riconciliazione
 
21. Durante il Grande Giubileo, a duemila anni dalla nascita di Gesù, la Chiesa ha vissuto con particolare intensità il richiamo esigente della riconciliazione. E richiamo significativo anche nel quadro della complessa tematica del dialogo tra le culture. Spesso infatti il dialogo è difficile, perché su di esso pesa l’ipoteca di tragiche eredità di guerre, conflitti, violenze e odi, che la memoria continua ad alimentare. Per superare le barriere dell’incomunicabilità, la strada da percorrere è quella del perdono e della riconciliazione. Molti, in nome di un realismo disincantato, reputano questa strada utopistica ed ingenua. Nella visione cristiana, invece, questa è l’unica via per raggiungere la meta della pace.
 
Lo sguardo dei credenti si ferma a contemplare l’icona del Crocifisso. Poco prima di morire Gesù esclama: « Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno » (Lc 23,34). Il malfattore crocifisso alla sua destra, udendo queste supreme parole del Redentore morente, si apre alla grazia della conversione, accoglie il Vangelo del perdono e ottiene la promessa della beatitudine eterna. L’esempio di Cristo ci rende certi che si possono realmente abbattere i tanti muri che bloccano la comunicazione e il dialogo tra gli uomini. Lo sguardo al Crocifisso ci infonde la fiducia che il perdono e la riconciliazione possono diventare prassi normale della vita quotidiana e di ogni cultura e, pertanto, concreta opportunità per costruire la pace e il futuro dell’umanità.
 
Ricordando la significativa esperienza giubilare della purificazione della memoria, desidero rivolgere ai cristiani un appello particolare, affinché diventino testimoni e missionari di perdono e di riconciliazione, affrettando, nell’operosa invocazione al Dio della pace, la realizzazione della splendida profezia di Isaia, che può essere estesa a tutti i popoli della terra: « In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria: l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria: gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele, il terzo con l’Egitto e l’Assiria, sarà una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore degli eserciti: “Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità” » (Is 19,23-25).
 
Un appello ai giovani
 
22. Desidero concludere questo Messaggio di pace con uno speciale appello a voi, giovani del mondo intero, che siete il futuro dell’umanità e le pietre vive per costruire la civiltà dell’amore. Conservo nel cuore il ricordo degli incontri ricchi di commozione e di speranza che con voi ho avuto durante la recente Giornata Mondiale della Gioventù a Roma. La vostra adesione è stata gioiosa, convinta e promettente. Nella vostra energia e vitalità e nel vostro amore per Cristo ho intravisto un avvenire più sereno e umano per il mondo.
 
Nel sentirvi vicini, avvertivo dentro di me un sentimento profondo di gratitudine al Signore, che mi faceva la grazia di contemplare, attraverso il variopinto mosaico delle vostre differenti lingue, culture, costumi e mentalità, il miracolo dell’universalità della Chiesa, del suo essere cattolica, della sua unità. Attraverso di voi ho visto il mirabile comporsi delle diversità nell’unità della stessa fede, della stessa speranza, della stessa carità, come espressione eloquentissima della stupenda realtà della Chiesa, segno e strumento di Cristo per la salvezza del mondo e per l’unità del genere umano.(10) Il Vangelo vi chiama a ricostruire quell’originaria unità della famiglia umana, che ha la sua fonte in Dio Padre e Figlio e Spirito Santo.
 
Carissimi giovani di ogni lingua e cultura, vi aspetta un compito alto ed esaltante: essere uomini e donne capaci di solidarietà, di pace e di amore alla vita, nel rispetto di tutti. Siate artefici d’una nuova umanità, dove fratelli e sorelle, membri tutti d’una medesima famiglia, possano vivere finalmente nella pace!
 
Dal Vaticano, 8 dicembre 2000.
 
GIOVANNI PAOLO II
 

 
(1) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 53.
 
(2) Cfr Giovanni Paolo II, Discorso alle Nazioni Unite, 15 ottobre 1995.
 
(3) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 75.
 
(4) Cfr ibid., n. 22.
 
(5) Ibid., n. 10.
 
(6) Cfr Giovanni Paolo II, Discorso all’U.N.E.S.C.O., 2 giugno 1980, n. 6.
 
(7) Cost. past. Gaudium et spes, 36.
 
(8) Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 1.
 
(9) Giovanni Paolo II, Lettera enc. Centesimus annus, 58.
 
(10) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1.

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